La fine di Israele come lo conosciamo
Roma. Come una sentenza di morte diluita nel tempo. Così in Israele è stato percepito l’accordo di Vienna sul nucleare iraniano. “L’Iran nuclearizzato è il più grande pericolo che Israele abbia mai affrontato in sett’antanni, da quando nel 1948 mezzo milione di ebrei sconfissero gli eserciti arabi”, dice al Foglio Yossi Klein Halevi, intellettuale americano diventato un astro dell’intellighenzia israeliana, arruolato da pensatoi a Gerusalemme, editorialista di New York Times, Wall Street Journal e New Republic, nonché autore di “Like Dreamers”. C’è angoscia nelle parole di tanti commentatori israeliani, anche fra i liberal come Klein Halevi. “Puoi abusare del potere in due modi: usandolo in maniera eccessiva o non usandolo affatto”, dice. “Israele commetterebbe questo secondo errore se consentisse all’Iran di nuclearizzarsi. Significherebbe che l’impegno del popolo ebraico dopo la Shoah verrebbe meno. Per noi ‘never again’ non vuol dire come in Europa ‘mai più razzismo’. Per noi significa mai più ebrei indifesi, ebrei vittime, ebrei mandati al macello”. L’Olocausto è raramente invocato nella politica israeliana. “Ma la minaccia iraniana ha riportato la ‘soluzione finale’ al cuore del discorso israeliano”, spiega Klein Halevi. “Comandanti dell’esercito , che probabilmente una volta consideravano le analogie con l’Olocausto come un affronto al sionismo, ormai abitualmente parlano di ‘secondo Olocausto’. Editoriali, scritti da sinistra, così come commenti da destra, paragonano questi tempi al 1930. Gli israeliani ricordano come la comunità internazionale abbia reagito con indifferenza quando una nazione fortemente armata dichiarava guerra al popolo ebraico e percepiscono un modello simile oggi. Le invocazioni dell’Iran alla distruzione di Israele tendono a essere liquidate come pura retorica dai media occidentali”.
Che succede ora? “Non sono più sicuro adesso di cosa accadrà. Penso che dobbiamo attaccare o l’Iran avrà la bomba. E purtroppo dobbiamo subire ancora un anno e mezzo di Barack Obama, questo presidente americano disastroso, il peggiore nella storia per Israele. L’accordo di Vienna è anche la fine di ogni speranza di accordo con i palestinesi, Israele si sente troppo vulnerabile per scommetterci ancora”. Il pericolo non è solo l’atomica di Teheran “che l’accordo rende possibile”, come ha detto ieri Yuval Steinitz, ministro e consigliere del premier Benjamin Netanyahu, ma anche la minaccia di attacchi convenzionali e terroristici grazie ai cento miliardi di dollari cui Teheran avrà accesso con la fine delle sanzioni.
Ma anche senza colpo ferire, un Iran nuclearizzato per Yossi Klein Halevi sarebbe la fine del sionismo. “Gli investitori stranieri fuggirebbero dal paese, come pure molti israeliani. In un sondaggio, il 27 per cento degli israeliani ha detto che prenderebbe in considerazione di lasciare il paese se l’Iran si nuclearizzasse. La minaccia iraniana è penetrata nella vita quotidiana come un’ansia costante, appena cosciente. Gli israeliani credono ancora nella loro capacità di proteggere se stessi, e molti credono anche nella protezione divina. Entrambe sono espressioni di fede di un popolo che teme possa ancora una volta affrontare l’impensabile da solo”.
Un’ansia che emerge anche sotto forma di umore. Ieri, il magazine liberal israeliano +972 ha scritto: “Le 77 cose da fare prima che gli iraniani ci uccidano tutti”. Un’ansia che Yedioth Aharonot, il maggiore giornale del paese, trasformava in titolo a tutta pagina: “Il mondo si arrende all’Iran”, e il paragone è con Monaco 1938, quando Francia e Gran Bretagna sacrificarono la Cecoslovacchia a Hitler per “salvare la pace”, salvo poi gettare l’Europa tutta in guerra. Secondo molti commentatori israeliani, l’accordo di Vienna sancisce un fatto politico senza precedenti, e per usare una analisi di Debka, vicina all’intelligence israeliana, “l’accordo nucleare spinge Israele da parte e innalza l’Iran a primo partner degli Stati Uniti”.
[**Video_box_2**]“Israele non avrà altra scelta che sostenere il suo ruolo di rifugio del popolo ebraico”, conclude Klein Halevi. “Il filosofo francese André Glucksmann ha scritto che, con la minaccia di distruggere Israele e raggiungendo i mezzi per farlo, l’Iran viola i due tabù su cui l’ordine del dopoguerra è stato costruito: ‘Mai più Auschwitz e mai più Hiroshima’. Uno stato ebraico che si permette di essere minacciato con le armi nucleari, da un paese che nega il genocidio di sei milioni di ebrei europei e minacciando sei milioni di ebrei di Israele, perderà il suo diritto di parlare in nome della storia ebraica”. Ma sull’attacco, c’è chi, come l’ex capo del Mossad Meir Dagan, ha persino sostenuto che Israele potrebbe lanciarlo soltanto “quando il coltello sta già tagliando la carne” (di Israele).
Klein Halevi dice che non è possibile arrendersi a questo fatalismo. “Oggi l’Iran controlla sei capitali del mondo arabo-islamico: Teheran, Damasco, Beirut, Sanaa, Baghdad e Gaza, dove Hamas è il suo unico alleato nel mondo sunnita. Adesso vuole Gerusalemme. Allora secondo me ci sono soltanto due scenari possibili: o Israele attacca o l’Iran avrà la bomba, e allora sarà la fine di Israele così come lo conosciamo”.