Lo spezzatino dell'ideologia liberal
New York. Non che ce ne fosse bisogno, ma l’accordo nucleare con l’Iran ha seppellito un metro più in profondità il cadavere della visione liberal del mondo, dove il progresso verso una società più giusta, libera, democratica, basata sui diritti e resa prospera dal mercato è un qualcosa di ineluttabile e intimamente unitario. Non c’è giustizia senza libertà, non c’è diritto senza democrazia, non c’è prosperità senza libera iniziativa e via dicendo. Gli elementi sono inscindibili, non si può fare una cernita, prendere quello e scartare quell’altro. L’ideale liberal impone la radicale trasformazione delle canaglie secondo i canoni della società liberale, e in determinate circostanze il regime change è l’inevitabile conclusione di un sillogismo che pone come premessa maggiore l’intrinseca unità e bontà del progetto liberale. Nella realtà le cose sono sempre complicate, è il regno dei compromessi e delle mezze misure, ma questo non impedisce di avere chiaro un ideale regolativo in testa. I risultati alterni e talvolta tragici della guerra al terrore di George W. Bush non hanno fatto vacillare di un centimetro gli ideali e l’orizzonte morale impresso nella Freedom Agenda. Barack Obama ha cambiato tutti i termini della questione, e l’accordo con l’Iran è l’ultima prova in questo senso.
Nell’intervista post partita con Tom Friedman lo ha detto esplicitamente: “Non giudichiamo l’accordo dal fatto che risolva o meno tutti i problemi riconducibili all’Iran, o se elimina tutte le attività nefaste in giro per il mondo. Giudichiamo l’accordo dal fatto che l’Iran non potrà produrre armi atomiche”. Nella frammentazione ideale che anima Obama e il suo governo a responsabilità limitata, l’obiettivo è prevenire le conseguenze materiali di un’ideologia apocalittica e antioccidentale, non agire sulle cause, e il presidente non sente alcuna contraddizione in questo. E’ finita l’epoca del menù fisso liberal, qui si ordina à la carte, si tratta con le canaglie perché l’obiettivo della trattativa non è la diffusione di un’idea, ma la gestione di uno status quo accettabile. Si possono trattare le condizioni del disgelo con Castro senza ottenere nemmeno una vaga promessa di apertura democratica in cambio, si chiude un occhio – se serve tutti e due – per dimenticare l’ipocrisia dell’interlocutore e non si pongono precondizioni per tendere la mano. C’è spazio pure per l’elogio di Vladimir Putin il “compartimentalizzatore”, e la parola qui è cruciale: “Non ero certo se, viste le forti differenze con la Russia a proposito dell’Ucraina, la collaborazione fosse sostenibile. Putin e il governo russo hanno compartimentalizzato su questo in un modo che mi ha sorpreso, e non avremmo raggiunto questo accordo senza la volontà della Russia”. Mosca merita un elogio per la sua capacità di mettere sotto il tappeto la polvere quando serve, e Obama giudica la manovra in base al criterio unico della convergenza momentanea degli interessi. Le truppe russe in Ucraina sono lontane dagli occhi e dal cuore, il Maidan chi se lo ricorda più?
[**Video_box_2**]L’idea liberal è stata spinta giù dalla rupe anche dall’emergere di forme di governance non democratiche eppure efficienti, governi ultracapitalisti con zero diritti umani, economie dirigiste competitive. Si credeva che diritti-libertà-mercato-prosperità fossero termini inscindibili, mentre possono essere scorporati e rimescolati in un grande spezzatino ideologico dove ognuno pesca quel che crede. La ricetta liberal è stata decostruita, e non vale nemmeno più il principio di non contraddizione ideologica che imponeva, ad esempio, a un’Amministrazione americana di non sedersi al tavolo con gli sponsor del terrorismo. Obama non solo si siede al tavolo – e non è il primo – ma si alza soddisfatto per aver ottenuto qualche concessione da una teocrazia che odierà ciò che l’occidente rappresenta fino alla fine dei tempi.