La "legge Severino" fa proseliti. Nel Venezuela chavista
C’è un paese in cui la “legge Severino” funziona alla grande, il Venezuela. Il paese sudamericano, culla del Socialismo del XXI secolo e laboratorio dell’anticapitalismo no-global, è caratterizzato da una corruzione sistemica sin dai tempi del caudillo Hugo Chávez e il suo delfino, Nicolás Maduro, ha deciso di mettere mano al problema con la “Ley Contra la Corrupción”, una specie di legge Severino che punisce i presunti corrotti con l’incandidabilità. Il problema è che uno dei regimi più corrotti del mondo i corrotti li trova tutti nell’opposizione, le norme anti-corruzione in pratica servono a impedire agli oppositori di fare politica con un atto amministrativo, senza alcun processo. Così in poco tempo il regime, in vista delle elezioni politiche del prossimo 6 dicembre in cui è dato in svantaggio, ha dichiarato incandidabili tutti i principali leader della Mesa de la Unidad Democrática (Mud), la coalizione che riunisce i partiti anti-chavisti.
L’ultima in ordine di tempo è stata María Corina Machado, pasionaria della destra venezuelana e parlamentare più votata del paese alle politiche del 2010, che è stata inabilitata a candidarsi per qualsiasi incarico pubblico per 12 mesi dalla Contraloría General (una specie di Corte dei Conti), con l’accusa di non aver fornito una dichiarazione dei redditi completa (Machado non avrebbe inserito i buoni pasto da parlamentare). Si tratta semplicemente di un’accusa, non c’è nessuna sentenza neppure di primo grado (la norma è una Severino con il livello di garanzie costituzionali della famosa “lista degli impresentabili” della nostra Commissione Antimafia). Il motivo ovviamente è tutto politico, la Machado è stata prima espulsa dal Parlamento per aver “tradito la patria” e la costituzione dopo aver accettato l’invito di Panama a parlare in un incontro dell’Organizzazione degli Stati americani e poi accusata con prove false di aver pianificato l’assassinio del presidente Maduro. Le due accuse non impediscono però alla parlamentare di candidarsi e così è arrivata quella di dichiarazione patrimoniale incompleta che fa scattare l’incandidabilità. Machado non è l’unica vittima della legge anti-corruzione negli ultimi mesi. Manuel Rosales, ex governatore dello stato di Zulia e candidato alle presidenziali del 2006 contro Chávez, era intenzionato a ritornare dall’esilio politico in Perù ma è stato bandito da ogni competizione elettorale per 7 anni. Stessa sorte toccata a Pablo Pérez Álvarez, suo successore come governatore di Zulia, dichiarato incandidabile per i prossimi 10 anni. Come lui anche César Pérez Vivas, ex governatore dello stato di Táchira, è stato inabilitato a qualsiasi incarico pubblico per sette anni con l’accusa di corruzione.
[**Video_box_2**]Le elezioni di dicembre saranno probabilmente un punto di svolta nella storia del Venezuela, il governo e il Psuv (il partito chavista) sono impopolari per l’inflazione più alta del mondo, la corruzione diffusa, l’insicurezza (in Venezuela avviene un omicidio ogni 20 minuti), la crisi economica, l’aumento della povertà e la cronica scarsità di beni essenziali. Maduro sta facendo di tutto per non perdere il controllo del Parlamento a cui potrebbe seguire l’anno prossimo un referendum per dimetterlo, ha rimandato le elezioni, cambiato la legge elettorale e infine sta escludendo dalla corsa elettorale gli oppositori più popolari. Tra gli incandidabili ci sono anche i prigionieri politici arrestati in seguito alle proteste del 2014. Il più celebre è Leopoldo López, probabilmente l’esponente politico più popolare dell’opposizione, da un anno e mezzo prigioniero nel carcere militare di Ramo Verde ed escluso dalle competizioni elettorali dal lontano 2008, ma oltre a lui anche i sindaci di San Diego e San Cristóbal, Enzo Scarano e Daniel Ceballos, prima dichiarati decaduti e ora anche incandidabili per un anno come la Machado. E poi il sindaco della capitale Caracas, Antonio Ledezma, arrestato per cospirazione a febbraio con un blitz senza mandato di una ventina di agenti armati del Sebin (servizi segreti). I detenuti politici erano stati candidati dalla Mud perché, qualora eletti, sarebbero stati liberati in quanto la costituzione garantisce l’immunità ai parlamentari in attesa di giudizio. Anche questa garanzia è stata di fatto abolita con la norma che permette di dichiarare l’inagibilità politica per presunti illeciti, senza giudizio e in via amministrativa. La via dell’autoritarismo anti-democratico può essere lastricata anche con norme anti-corruzione.