Era solo sesso
Dopo aver visto il video dei due ragazzi cinesi che si amano nel camerino di un negozio di abbigliamento a Pechino, diciamo la verità, nessuno entra più in quegli angusti spazi dagli specchi deformanti e le luci soffuse con gli stessi occhi. E’ successo il 15 luglio scorso in un punto vendita della catena Uniqlo, che peraltro è un marchio giapponese, il che rende la notizia ancora più succulenta pure geopoliticamente. I due fidanzatini – perché si amano davvero, lui nel video dice a lei: dimmi che staremo insieme per sempre, mentre tiene in mano il cellulare e riprende un po’ lo specchio un po’ le nudità di lei, e poi però parte il disco registrato del negozio che spiega ai clienti che al piano terra non ci sono i camerini, quindi se hanno bisogno di provare qualcosa devono salire al secondo piano – i due fidanzatini, dicevamo, sono diventati improvvisamente la coppia più famosa di Cina. E non è ancora chiaro come quei 71 secondi di video d’amore nel giro di tre giorni siano viralmente finiti sui computer degli utenti di internet di ogni parte del globo.
Fatto sta che la polizia di Pechino, che sul pudore è intransigente, quando la diffusione del video non si teneva più ha iniziato a investigare e lunedì scorso ha pure arrestato cinque persone. La coppia ha detto di aver girato il filmino ad aprile e di averlo mandato a un amico (sigh) su WeChat – crediamo sia stato lui, che filmava con tanta capacità registica, a inviare il frutto delle sue doti da cameraman all’amico. Ad ogni modo, il passaggio su WeChat fu galeotto perché qualcuno si è impossessato del file, e l’ha piazzato su Weibo, il Twitter cinese.
Se Parigi ha il suo burro, Pechino ha il suo Uniqlo. Tant’è vero che nei giorni successivi qualcuno ha avanzato l’ipotesi che l’amplesso nel camerino fosse una trovata pubblicitaria della catena di abbigliamento. Nel frattempo, la frittata era fatta. I social network si sono riempiti di selfie davanti all’Uniqlo di Pechino, i giornali di foto di gente che si fa i selfie davanti all’Uniqlo di Pechino. Molti dei clienti incontrati dalla stampa nel negozio dai camerini bollenti hanno detto di non aver mai sentito parlare prima della marca, e di esserci andati solo dopo aver visto il video. “Ora, se pronunci la parola ‘Uniqlo’ o ‘camerino’ avrai sorrisini da parte di chiunque in Cina o di chiunque frequenti internet”, scrivono oggi Shen Lu e Wilfred Chan della Cnn. Il governo cinese si è stufato di questa ondata di immoralità, sta lanciando reprimende in tutti i modi e ha inserito il brand giapponese nella lista delle parole censurate dai social media. L’altro ieri la polizia del pudore cinese s’è dovuta occupare pure di un esercito di spartani mezzi nudi, tutti modelli, che marciavano nella zona di Sanlitun, davanti al negozio “Sweetie Salad”. La manifestazione pubblicitaria è stata dispersa con la forza dagli agenti. Il negozio pensava fosse molto divertente far sfilare ragazzotti tartarugati per promuovere insalatine e cibo bio. Ma niente da fare. Pechino ha un problema ad accettare la rivoluzione sessuale, dicono sui media. Perché non è possibile fermare la viralità del sesso.
[**Video_box_2**]I dipendenti di Uniqlo in Cina stanno utilizzando l’ondata di pubblicità gratuita offerta dai due focosi amanti per portare alla luce le loro condizioni di lavoro, con paghe basse e orari folli (qui l'articolo di Qartz). Per Uniqlo è una storia che va avanti da anni. Nel 2011 il settimanale giapponese Shūkan Bunshun pubblicò un’inchiesta firmata dal giornalista Masuo Yokota dal titolo “The Glory and Disgrace of UNIQLO”, denunciando le condizioni di lavoro dei dipendenti nei paesi più poveri dell’Asia. Uniqlo querelò il giornale, e ora la sentenza d’Appello è pendente.
Dalle piazze ai palazzi