Come evitare di parlare a sproposito della dignità dei greci
La deriva ideologica impressa al dibattito sul terzo salvataggio della Grecia dai rappresentanti di quella che efficacemente è stata definita in queste pagine brigata Kalimera, ha trascinato con sé l’utilizzo strumentale di alcune fondamentali nozioni della scienza giuridica e politologica, piegate a uso e consumo della tesi della predetta comitiva. Come è stato più volte sostenuto da questo giornale, di sovranità e democrazia si è parlato a sproposito nelle ultime settimane al solo fine di sostenere la possibilità per i greci di essere capitalisti con i capitali degli altri. Non miglior sorte è toccata al concetto di dignità, chiamato in causa per rammentare che quella del popolo greco dignità non può essere calpestata dalla volontà dei creditori di condizionare ulteriori prestiti e tagli del debito alla realizzazione di riforme economiche e istituzionali di loro gradimento.
Non viene considerato però che la nozione di dignità indica in maniera pacifica uno status giuridico che rappresenta la sintesi dei diritti e delle libertà fondamentali riconosciuti dalla cultura europea e che in questi termini è stata inserita tanto nella Costituzione greca quanto in quella tedesca, oltre che in quasi tutte le costituzioni del Vecchio continente. In questa prima e più comune accezione il rispetto della dignità altrui rimanda alla tutela della libertà nelle sue variegate declinazioni, all’uguaglianza, al riconoscimento nell’altro della nostra identica condizione umana, al diritto ad autodeterminarsi. Ma non si può di certo affermare che il rispetto della dignità altrui comprenda l’obbligo di sostenere economicamente chi consapevolmente ha scelto di vivere in una perenne condizione di bisogno e disagio, né che i partner europei e i creditori internazionali abbiano scientemente violato diritti e libertà del popolo greco. L’elemento della solidarietà all’interno della tutela della dignità non viene in ogni caso meno quante volte la condizione di bisogno sia la risultante di accidenti naturalistici o di difficoltà contingenti ed oltremodo degradanti, e non si può, in verità, ritenere che gli stati europei abbiano mostrato, anche con il popolo greco, indifferenza agli uni ed alle altre. Risulta così difficile comprendere la pertinenza e la coerenza del richiamo alla dignità del popolo greco in una vicenda che rischia, al contrario, di vedere calpestata la dignità e il rispetto di chi a quel popolo ha dato credito (non solo economico) in ragione di un comune sentire e di un comune senso di appartenenza ad una medesima matrice culturale. Sembra non esistere, in altre parole, il riconoscimento della dignità del creditore, dei meriti e dei sacrifici che hanno consentito a chi ne ha fatto libera richiesta di usufruire della possibilità di conquistarsi il rispetto altrui.
[**Video_box_2**]Il termine dignità, infatti, indica senza dubbio anche il merito, inteso come la capacità di guadagnarsi il rispetto e la considerazione altrui in virtù delle attività commendevoli di cui ciascuno si rende protagonista. E d’altronde anche nel linguaggio comune si è soliti usare espressioni del tipo “non sei degno di…” o “ essere degno di…” per indicare l’accezione forse meno invocata della nozione di dignità, quella che richiama il dovere, il merito, la responsabilità, la capacità di essere all’altezza delle qualità morali del proprio interlocutore, di rispettare le regole che si è liberalmente scelti, gli accordi ed i contratti liberamente sottoscritti. Un temine ambivalente, dunque, quello di dignità, uno dei pochi, forse l’unico, in grado di rappresentare adeguatamente la condizione di vita del popolo greco che, al pari di tutti gli altri popoli, è titolare tanto di diritti quanto di doveri. Un termine che solo la brigata Kalimera è riuscita a citare a sproposito.