Chi sono gli sloveni hard-rock che canteranno per Kim Jong-un
Inizialmente, non appena è uscita la notizia, in pochi ci hanno creduto. Perché una rock band straniera che si esibisce alla corte di Kim Jong-un è già una notizia di per sé – anche se non così rivoluzionaria: il giovane leader nordcoreano ci ha abituati a un certo tipo di selezione della cultura internazionale, come quando fece arrivare a Pyongyang la squadra di basket americana capitanata da Dennis Rodman. A far notizia, in questo caso, è piuttosto il profilo della band: sono gli sloveni Laibach che si esibiranno – primo complesso occidentale a farlo – per ben due serate, il 18 e 19 agosto, nell'ambito delle celebrazioni per la fine della Seconda guerra mondiale e l'armistizio con la Corea del sud.
Il gruppo, fondato nel 1981 a Trbovlje, cittadina industriale a pochi chilometri da Ljubljana, è considerato uno dei pionieri dell'industrial e fin da subito ha generato molte polemiche a causa di una estetica basata su un'iconografia pseudo-fascista invisa alle autorità socialiste jugoslave dell'epoca (lo stesso nome, Laibach, era quello imposto alla capitale slovena durante l'occupazione nazista) e tuttavia funzionale a realizzare uno dei primi imperativi della band, ovvero "mettere in luce il legame esistente tra arte e potere".
Fedeli a questo imperativo, per i membri dei Laibach non è mai stato un problema prestarsi a performance piuttosto estreme, come nel caso del comizio politico organizzato durante un concerto a Belgrado nel 1989 che ricalcava la retorica del leader nazionalista Slobodan Milošević, e che invitava i "fratelli serbi" a immolarsi nel nome della propria sacra terra. Né, tantomeno, ha rappresentato un tabù il fatto di stravolgere classici pop come “One vision” dei Queen o “Life is life” degli Opus per trasformarli in oscuri inni di regime.
Lo scopo dell'attività del gruppo è infatti, come dice il biografo Alexei Monroe, "far capire che quello del totalitarismo non è stato un fenomeno storicamente limitato agli anni tra il 1939 e il 1989 e ora concluso una volta per tutte". Anche se questo si è spesso tradotto in una questione di estetica, e non di critica ai regimi autoritari esistenti, e nonostante ciò renda estremamente difficile per un osservatore neutrale tracciare i confini tra la parodia e la serietà dell'intento: "noi siamo fascisti nella stessa misura in cui Adolf Hitler era un pittore", è una delle più iconiche (e sibilline) dichiarazioni della band.
Invitati da Pyongyang a esibirsi per due serate di fronte a un pubblico piuttosto ristretto (circa 1.000 persone) nel conservatorio Kim Won Gyun della capitale, i membri della band hanno assicurato che adatteranno il repertorio alle esigenze del pubblico nordcoreano, alternando ai propri successi anche canzoni tradizionali locali e addirittura brani tratti dalla commedia musicale “The Sound of Music” (“Tutti insieme appassionatamente”).
[**Video_box_2**]L'evento è stato pensato nell'ambito di uno scambio culturale organizzato dal Consiglio per le arti norvegese e dal regista Morten Traavik, che a Pyongyang ha anche fondato un'accademia artistica. "L'obiettivo principale è la comprensione reciproca dei nostri due mondi", ha detto Traavik presentando l'iniziativa e sottolineando, in risposta alle critiche, che "il compito di un artista non è pronunciare delle verità universali, ma piuttosto mostrare delle realtà alternative".
Alcuni attivisti, tra cui il direttore del Comitato per i diritti umani in Corea del nord Greg Scarlatoiu, hanno accolto favorevolmente l'idea di organizzare il concerto, anche se il suo impatto reale nella società coreana potrebbe risultare limitato a causa della dimensione ristretta dell'evento: "se i giovani nordcoreani – anche soltanto quelli appartenenti all'élite – potranno assistere allo spettacolo, esso avrà sicuramente degli effetti benefici", ha detto Scarlatoiu al Guardian. "In caso contrario, si tratterà soltanto di ipocrisia".