Yanis Varoufakis (foto LaPresse)

Sovranità dimezzata. Da chi?

Altro che Troika. In Grecia si è rischiato un golpe di nome Varoufakis

Stefano Cingolani
Hackeraggi e rapimenti: il piano segreto per la Grexit dell’ex ministro scavalcava il Parlamento, la Bce, e pure il popolo. La tempesta sul suo progetto di Grexit, rivelato con tono professorale durante una teleconferenza a Londra, rischia di farlo incriminare. Fellone o vantone? Rovinoso.

Roma. Yanis Varoufakis non smette di calcare le scene, e di farsi del male. La tempesta sul suo progetto di Grexit, rivelato con tono professorale durante una teleconferenza a Londra, rischia di farlo incriminare. Nuova democrazia lo accusa di alto tradimento e anche tra i suoi ex compagni di governo molti sono rimasti di sasso. Ieri ha pubblicato un articolo di spiegazioni sul Financial Times il quale aveva riportato il testo integrale del suo intervento. Ma più va avanti, più commenta e si giustifica, più si mette nei pasticci. Comunque la si voglia mettere, se c’era qualcuno che complottava in segreto al di fuori del mandato ricevuto dagli elettori, dal Parlamento, dal governo, questi era proprio l’ex ministro delle Finanze greco. Altro che golpe della Troika, semmai c’è stato un tentato golpe finanziario da parte di Varoufakis. I fatti li racconta lo stesso miles gloriosus all’Official Monetary and Financial Institutions Forum diretto da due ex del Financial Times: John Plender e David Marsh. Era presente anche Norman Lamont, ex ministro delle Finanze britannico. Per primo ha rivelato tutto il quotidiano greco Kathimerini, poi il Ft non ha più mollato l’osso.

 

“Prima che vincessimo le elezioni, Alexis Tsipras mi aveva dato luce verde per un piano B”, spiega Varoufakis che ricorda di aver chiamato il suo amico James Kenneth Galbraith, figlio di tanto padre (J. K. Galbraith quello del Nuovo stato industriale e della Società opulenta), cittadino americano non eletto né nominato da nessun organismo sovrano greco. Insieme hanno programmato di “hackerare il programma software dell’Agenzia delle entrate per copiare i codici in un grande computer allo scopo di disegnare e implementare un sistema di pagamento ombra”. In sostanza, usando il codice fiscale sarebbe stato possibile pagare in formato digitale, in euro, mentre chi vantava soldi dallo stato avrebbe potuto utilizzare una sorta di credito di imposta. Ciò serviva per scavalcare le banche e soprattutto la Banca centrale europea. “Potevamo estendere il sistema agli smartphone attraverso un’applicazione – aggiunge Varoufakis – e sarebbe potuto diventare un meccanismo finanziario parallelo da convertire nella nuova dracma”. Quelli della Piattaforma di sinistra di Syriza si erano spinti anche più in là, fino al rapimento del governatore e all’occupazione della Banca centrale. Ieri Panagiotis Lafazanis, capo dell’ala radicale del partito di governo, ha svelato le carte chiedendo l’uscita dall’euro, ma a questo punto è chiaro che il progetto covava da tempo.

 

Varoufakis e i suoi avevano il mandato per lasciare l’unione monetaria? No, ammette l’ex ministro, dovevamo trattare e spuntare le condizioni migliori, tuttavia bisognava essere pronti. L’hackeraggio non andò in porto perché il sistema fiscale è sotto il controllo tecnico di Bruxelles, decisione presa per garantire la sua indipendenza, sottraendolo a manipolazioni politiche. Per fortuna, bisogna dire, perché così si è evitata una clamorosa violazione di tutte le regole, a cominciare dalla privacy. Ma al di là di questo, “quando si trattò di passare dalle cinque persone che stavano immaginando il piano alle mille che avrebbero dovuto realizzarlo, serviva un’altra autorizzazione del primo ministro che non venne mai”.

 

[**Video_box_2**]Varoufakis scrive sul Ft che ha lasciato le carte al suo successore Euclid Tsakalotos e ne ha parlato in conferenza stampa anche se i giornalisti non lo hanno notato. Forse non si è spiegato così bene come alla conferenza londinese. L’ex ministro ripete la solfa sulla “restrizione di sovranità nazionale imposta dalla Troika”. Ma lui operava in segreto senza il consenso di nessuno. Aveva informato Tsipras? E fino a che punto? Certo non di violare l’Agenzia delle entrate, tanto meno lo aveva detto alla Banca centrale e al Parlamento. Alla faccia della democrazia. Qui ci troviamo di fronte a un greco che intendeva espropriare la sovranità fiscale dei propri concittadini in combutta con uno straniero. Un fellone? Forse solo un vantone, ma altrettanto rovinoso. (s.ci.)

 

Di più su questi argomenti: