Perché il presidente del Kurdistan approva i bombardamenti sul Pkk
Massoud Barzani, presidente del Kurdistan iracheno, è una figura chiave nella lotta contro lo Stato islamico. Anzi “la” figura chiave, perché senza la capacità dei suoi peshmerga di fronteggiare e arginare l’avanzata delle milizie di Abu Bakr al Baghdadi nel giugno del 2014, queste sarebbero arrivate d’impeto a Baghdad, non difesa da un esercito iracheno in disfacimento. E’ anche presidente dell’unico stato – de facto, non ancora de jure – davvero democratico nascente in medio oriente (a parte Israele, naturalmente, peraltro suo tenace alleato), lascito dell’invasione dell’Iraq del 2003 e merito indubbio, ma dimenticato, di George W. Bush.
Per questo, la piena approvazione dei bombardamenti dell’aviazione turca espressa da Barzani lunedì scorso è un fatto di capitale importanza. Soprattutto perché questi bombardamenti colpiscono i santuari del Pkk nella regione montuosa del Qandil che è parte del territorio sovrano del Kurdistan iracheno. Dunque, il più prestigioso leader curdo approva incondizionatamente – anche se con linguaggio diplomatico – il fatto che i turchi bombardino dei peshmerga curdi, per di più sul suo territorio. Barzani, inoltre, attacca frontalmente la scelta del Pkk di uccidere due poliziotti turchi per rispondere all’attentato di Suruç in cui lo Stato islamico, non la Turchia, ha sterminato 32 giovani curdi in procinto di andare a Kobane come volontari civili. Infine, attacca anche il partito curdo siriano Pyd, accusandolo – a ragione – di mettersi di traverso rispetto al processo di pacificazione tra Turchia e Pkk per cui lui stesso si è ampiamente speso: “L'accordo tra Turchia e Stati Uniti è un passo importante per noi. Avrà grandi risultati ed effetti. Ho grandi critiche per quanto riguarda la politica del Pkk. In particolare, perché interviene negli affari interni del Kurdistan iracheno e perché nel Rojava (il Kurdistan della Siria) non permette al Pyd di sviluppare una politica unitaria e agisce settariamente. Rivendicando l’uccisione di due poliziotti turchi, come ha fatto il Pkk giorni fa, non si distrugge certo la Turchia”.
Come si vede, questo scenario impone all’opinione pubblica occidentale, ancora una volta, di abbandonare i suoi romantici trasporti per i “guerriglieri” di questo o quel paese, ancor più se donne coraggiose, per impegnarsi a comprendere che c’è curdo e curdo e ancor più che tutta la vicenda dell’irredentismo curdo è segnata da feroci battaglie tra varie componenti curde, di cui la guerra civile del 1996-’98 nel Kurdistan iracheno tra Massoud Barzani e Jalal Talebani (3-5.000 vittime) è stata solo l’ultimo episodio.
Ma quel che Barzani indica va ben al di là dello scenario curdo. Smentendo i ralpolitiker che sono pronti ad allearsi col diavolo pur di contrastare il Califfato, siano queste le milizie irachene sciite (duramente criticate dal governo Barzani per la loro ferocia nei confronti dei sunniti iracheni), siano i curdi del Pyd, sia il Pkk, Barzani dimostra di avere sguardo lungo e di considerare centrale non solo la vittoria, ma anche le modalità con cui essa è raggiunta. D’altronde, se si seguisse una secca logica di realpolitik si dovrebbero appoggiare le milizie che hanno dimostrato di essere le più efficienti contro l’Is in attacco, al di fuori del loro contesto territoriale o tribale: quelle di al Qaida e di Jabhat al Nusra.
[**Video_box_2**]Massoud Barzani, figlio del mitico Mullah Mustafa Barzani, che condusse la sua battaglia irredentista facendo patti con Stalin come con Kissinger, ha scelto oggi di ancorare il suo Kurdistan e la battaglia contro l’Is al suo consolidato asse con Ankara (il Kurdistan iracheno, in pieno sviluppo economico, è ormai parte dal punto di vista economico del “sistema Turchia”) e con l’America (oltre che con Israele: il Mossad è di casa a Erbil). Ma oggi non approva i bombardamenti contro il Pkk per fare un piacere a Erdogan. Fa questa scelta di campo perché ha preso atto, dopo anni di tentativi frustrati di mediazione, che sia il Pkk sia il Pyd restano saldamente ancorati alle loro origini marxiste-leniniste e settarie. Che portano l’irredentismo curdo alla sconfitta.
Il Pkk vede oggi imporsi la linea di chi rifiuta la road map di pacificazione con la Turchia siglata nel carcere di Imrali nel 2013 dal suo leader storico Abdullah Oçalan, spreca l’occasione di un rafforzamento di questo percorso dato dal trionfo elettorale del partito curdo Hdp di Selahattin Demirtas nelle elezioni turche e si affida a una logica “di combattimento”, arrivando – dopo la battaglia di Sinjar, a cui ha preso parte attiva – a contrastare l’egemonia del Kdp – il partito di Barzani – nel Kurdistan iracheno.
Il Pyd spinge (Barzani lo accusa specificamente di questo) il Pkk a rifiutare la road map siglata da Oçalan e soprattutto rifiuta di partecipare al Consiglio nazionale siriano, unico organo politico riconosciuto internazionalmente dell’opposizione siriana (oggi un guscio vuoto, ma l’unico che un domani potrà guidare il “dopo Assad”). Il tutto, nel nome di uno splendido isolamento settario, che ben si accompagna alle dinamiche simili a quelle dei Khmer Rossi che contraddistinguono sia il Pyd che il Pkk.