La guerra sommersa
Dalle terrazze dall’An Lam, lussuoso resort sulla baia di Ninh Van, in Vietnam, quell’alba fu spettacolare. I riflessi del sole sul mare dell’est sembravano risucchiati dai bagliori all’orizzonte sud. La base navale di Cam Ranh, dove erano allestiti i nuovi sottomarini classe Kilo, era stata colpita dai siluri e dai missili lanciati da un sottomarino nucleare d’attacco cinese 095 classe Shang salpato dalla base di Sanya, nell’isola di Hainan. Era iniziata l’operazione “Colpo del Drago”.
Questo è l’incipit, aggiornato e corretto, di “Dragonstrike: The Millennium War”, di Humphrey Hawksley e Simon Holberton. Pubblicato nel 1997, descriveva un conflitto tra America e Cina scoppiato nel 2001. Oggi potremmo ambientarlo tra il 2020 e il 2030. Nello stesso scenario potremmo prevedere un contrattacco vietnamita proprio sulla base di Sanya, anch’essa circondata da resort di lusso, e dominata da una statua di Guanyin, dea buddista della misericordia. Probabilmente sarebbe polverizzata dai missili supersonici Club lanciati da un sottomarino vietnamita 636 classe Kilo (tutto di produzione russa).
Il drago – sia Cina sia Vietnam lo reclamano a protettore – che potrebbe scatenare la guerra del Terzo millennio, come da leggenda dimora nei fondali del mar della Cina meridionale. Secondo l’ultimo “Global Peace Index” è una “potenziale area di conflitto”. E’ il mare che connette il Pacifico occidentale all’oceano Indiano, su cui transita quasi il 90 per cento del commercio estero cinese. E’ anche la principale area di contagio, da dove il conflitto può estendersi in ogni direzione. Secondo il Libro Bianco sulla strategia militare presentato dal Consiglio di stato cinese il maggio scorso, la flotta della People’s Liberation Army Navy (Plan) non è più destinata soltanto alla “difesa dei mari vicini”, ma allarga il raggio d’azione alla “protezione dei mari lontani”.
I mari vicini sono delimitati da quella che gli strateghi cinesi chiamano “la prima catena di isole”, disseminate tra Giappone e Filippine sino all’Indonesia e oggetto di contesa. All’interno di questa catena, la Cina sta costruendo una “Grande muraglia di sabbia”, trasformando in isole gli atolli sparsi nell’arcipelago delle Spratly (reclamate da Cina e Vietnam) che diventeranno basi militari. I mari lontani si aprono oltre lo stretto di Malacca, tra le coste di Malesia, Indonesia e Singapore, punto di collegamento tra oceano Pacifico e Indiano, sulla rotta più breve tra il petrolio del golfo e i suoi maggiori consumatori asiatici: Cina, Giappone e Corea del sud.
Il drago sembra voler disseminare le sue uova su orizzonti planetari: pochi mesi fa un sottomarino d’attacco cinese si è immerso sotto lo stretto di Malacca ed è riemerso al largo dello Sri Lanka e poi nel golfo Persico. Secondo il rapporto “A Cooperative Strategy for 21st Century Seapower” elaborato dalla U. S. Navy, lo scenario di questo nuovo Grande gioco è la macroregione “Indo-Asia-Pacifico”. Per il presidente cinese Xi Jinping l’area rientra in un piano ancor più vasto: la realizzazione delle nuove vie della seta, terrestre e marittima, che connettano il Regno di mezzo all’Europa attraverso l’Asia centrale e l’oceano Indiano. Le due vie sono destinate a comporre un anello attorno a 64 nazioni, 4,4 miliardi di persone e il 29 per cento del pil mondiale. Si sta delineando una nuova mappa geopolitica in cui la velocità del cambiamento è proporzionale all’allargamento dell’orizzonte. Di fronte a un espansionismo cinese di stampo imperiale, la visione dell’Amministrazione Obama di “ribilanciamento” sul Pacifico appare sempre più limitata.
Le pedine che si muovono su questa mappa sono invisibili. La futura Millennium War si combatterà soprattutto sott’acqua. “Il pericolo che ci sia un sommergibile in zona cambia completamente lo scenario. Anche solo la possibilità che ci sia”, ha detto un ufficiale della marina militare italiana. “E’ l’avventura del sommergibile: battere il mare restando occultati. Gli inglesi lo chiamano il silent service”. Il termine sommergibile, che si richiama a una tradizione centenaria, è ancora utilizzato dalla nostra marina (anche se i nuovi “battelli” sono tutti sottomarini, concepiti per agire esclusivamente sott’acqua), ma ciò che definisce meglio l’essenza dell’arma subacquea è quell’idea di minaccia oscura che coinvolge anche la psiche dell’avversario, confusa da “stealth tactics”, tattiche fantasma.
In questa invisibilità le nazioni meno potenti possono combattere quasi ad armi pari. Anche perché i motori diesel-elettrici dei sommergibili di ultima generazione li rendono più invisibili di quelli nucleari – identificabili dal ronzio del sistema di raffreddamento del reattore ed enormemente più costosi, rispettivamente 500 milioni e due miliardi di dollari.
Per la prima volta dal termine della Guerra fredda, la flotta sottomarina mondiale sta crescendo: nei prossimi dieci anni la spesa globale per i sottomarini convenzionali è destinata a raddoppiare (da 5,5 a 11 miliardi di dollari). E più di metà di questa flotta, circa 300 sottomarini, nel 2030 dovrebbe essere concentrata sotto le acque asiatiche.
Nel frattempo, entro il 2020, la forza sottomarina cinese dovrebbe raggiungere le 70 unità. Secondo un rapporto del viceammiraglio statunitense Joseph Mulloy, attualmente la Cina dispone di più sottomarini della flotta americana, anche se di prestazioni inferiori. Il gap potrebbe essere colmato in 15-20 anni, specie dopo il varo della terza generazione dei sottomarini classe Shang (gli 095 dell’incipit), che potrebbero divenire i più invisibili e letali sottomarini nucleari d’attacco del Plan. Sono lo strumento di una politica che non si basa più solo sul soft power economico ma anche sulla proiezione di potere a lungo raggio. Si è avverata oltre ogni misura la profezia di Mao Zedong: “Noi costruiremo un sottomarino nucleare anche se ci volessero diecimila anni”.
Per contrastare un eventuale colpo del drago, il rapporto sulla nuova strategia marittima americana sottolinea la necessità di almeno 14 sottomarini nucleari classe Virginia armati con missili balistici. C’è addirittura chi sostiene che potrebbero rimpiazzare le portaerei quali ammiraglie della potenza d’attacco statunitense. Tanto più come base di lancio di Unmanned Underwater Vehicles, i droni subacquei che raddoppierebbero le possibilità d’azione e la potenza letale del sottomarino.
“Il sottomarino è divenuto il simbolo della potenza di una nazione”, afferma Swee Lean Collin Koh della School of International Studies di Singapore. Tutti lo vogliono, anche paesi come Filippine, Bangladesh o Myanmar. La Thailandia ha addirittura costruito una base ultramoderna per sottomarini prima ancora di averli. Secondo il ministro della Difesa thailandese, Prawit Wongsuwan, il momento è arrivato, e ha sottoposto all’approvazione del Parlamento l’acquisto di tre sottomarini cinesi classe Yuan. Ed è già stata smentita la notizia secondo cui i sottomarini sarebbero pagati con i tagli alla Sanità. In effetti il governo di Pechino li ha offerti “a prezzi da amico” per conquistarsi il favore di un paese che era uno storico alleato degli Stati Uniti nell’area.
In compenso la flotta sottomarina vietnamita sta diventando l’incubo di quella cinese: continua a rafforzarsi coi nuovi 636M Kilo acquistati dalla Russia e li sta armando con missili da crociera in grado di colpire obiettivi terrestri. Ma soprattutto l’ammiragliato di Hanoi ha adattato alla guerra subacquea i metodi della guerriglia vietcong. A differenza di quarant’anni fa, tuttavia, il Vietnam non può contare troppo sull’aiuto della Russia, che ha pianificato esercitazioni congiunte con la flotta cinese nel mar della Cina del sud e potrebbe vendere a Pechino i piani del suo nuovo sottomarino d’attacco classe Yasen.
In uno scenario geopolitico sempre più fluido, i sottomarini sembrano proprio trasformarsi nel drago, uno spirito protettore per affrontare le crisi locali. Peccato che gli Stati Uniti non possano incarnarlo: costruiscono solo sottomarini nucleari e non sono disposti a venderli né a condividerne la tecnologia. Ad approfittarne, oltre alla Russia, è il Giappone: schiera una delle più potenti flotte subacquee al mondo e i suoi sottomarini classe Soryu sono considerati i più avanzati non nucleari. I Soryu dovrebbero armare la flotta di Taiwan, quella indiana e quella australiana (che anche con questa scelta sembra prendere le distanze dalle sue radici occidentali).
Il Giappone è in prima linea su uno dei fronti più delicati della Millennium War: quello coreano. Una crisi innescata da Pyongyang potrebbe determinare un’escalation che vedrebbe opposte Cina e Giappone (oltre, evidentemente, la Corea del sud). Le recenti immagini di Kim Jong-un che osserva il lancio di un missile da un sottomarino la fanno apparire possibile. “La Corea del nord dispone di armi strategiche in grado di spazzare via da ogni mare le forze ostili” ha dichiarato il “Grande Leader”. Nonostante le rassicurazioni statunitensi il governo sudcoreano sembra prenderlo sul serio e affida le sue speranze a un nuovo sottomarino d’attacco di produzione nazionale armato con missili da crociera con un raggio d’azione di 1.500 chilometri.
Dalle coste del Pacifico occidentale, quindi, partirebbe un’onda che potrebbe raggiungere l’Asia del sud, il golfo del Bengala e il golfo Persico, dove transita il 55 per cento del pil indiano, ricche acque di caccia per i draghi cinesi. A contrastarli, potrebbero esserci i sottomarini nucleari indiani classe Arihant, teorico orgoglio nazionale. A condizione che abbiano superato i problemi al reattore. L’India (che ha rapporti molto stretti con la marina vietnamita) sta cercando di costruirsi una flotta subacquea anche per fronteggiare la potenziale minaccia del Pakistan che ha annunciato appunto l’acquisto di otto sottomarini cinesi.
[**Video_box_2**]In acque sempre più popolate da draghi cresce la possibilità d’incidenti. In compenso, la natura dell’ambiente subacqueo permette di occultarne le prove (come accaduto durante la Guerra fredda). Il problema reale, secondo gli apprendisti stregoni, è che i sottomarini, proprio perché invisibili, modificano drammaticamente la percezione del pericolo, dato che il tempo di reazione a un primo attacco è molto più breve rispetto a quello lanciato da terra. Il che rende più probabile un’escalation preventiva. Alcuni si consolano affermando che, in caso di escalation nucleare, questa colpirebbe soprattutto basi navali distanti da obiettivi civili (non è il caso di Cam Ranh o di Hainan).
C’è da riflettere su ciò che diceva un comandante italiano. “Il film più proiettato nei sommergibili è “Matrix”. Dà da pensare, no? Qual è il mondo reale?”.