Foto LaPresse

Xi Jinping ha grandi piani per l'esercito cinese, a cominciare dagli arresti

Eugenio Cau
Lo scorso maggio è apparso sul giornale ufficiale dell’esercito cinese un articolo in cui si spiegava che la corruzione è così capillare che la capacità della Cina di affrontare una guerra è a rischio.

Roma. All’epoca della guerra alla corruzione, la rovina dei funzionari cinesi spesso inizia dai figli. E’ successo così per Ling Jihua, potente braccio destro dell’ex presidente Hu Jintao, caduto in disgrazia e incriminato questo mese dopo che suo figlio si è schiantato a Pechino mentre sfrecciava a bordo di una Ferrari e si intratteneva con due ragazze seminude. Lo stesso è avvenuto per Guo Boxiong, generale in ritiro e fino al 2012 numero due dell’esercito cinese, che ieri è stato espulso dal Partito comunista e incriminato dopo che suo figlio, generale anche lui, era stato messo sotto indagine a marzo per corruzione. Guo Boxiong è il militare più alto in carica (insieme al suo collega Xu Caihou, trovato con tanti preziosi da riempire dieci tir e condannato l’anno scorso) a cadere nella guerra contro la corruzione del presidente Xi Jinping, e gli organi di governo hanno commentato la notizia con tono trionfale, per far capire a tutti che, al contrario di quello che dicono alcuni analisti, la caccia alle tigri non è finita e che anzi ha trovato un nuovo terreno in cui esercitarsi: l’Esercito popolare di liberazione.

 

Lo scorso maggio è apparso sul giornale ufficiale dell’esercito cinese un articolo in cui si spiegava che la corruzione è così capillare che la capacità della Cina di affrontare una guerra è a rischio. Sono notizie fondate e confermate – per esempio, dall’intelligence americana – ma forse quell’articolo, notarono i social network cinesi, fu fatto filtrare ad arte dal governo, perché Xi se ne servì per dare forza alla campagna di indagini e arresti che da tempo stava conducendo nell’esercito, e che da quel momento si è intensificata. Contando solo le cariche più alte, negli ultimi due anni sono caduti in disgrazia per corruzione trenta generali e migliaia di ufficiali minori. L’esercito è una delle ossessioni di Xi Jinping, che in qualità di presidente della Commissione militare è anche il capo delle Forze armate. Il fatto è che anche in Cina, come in tutti i regimi autoritari, i militari godono di un potere di cui non devono rendere conto quasi a nessuno, e costituiscono al tempo stesso uno dei bastioni della stabilità del regime e uno dei maggiori pericoli per la stessa. La presidenza di Hu Jintao fu menomata dai suoi rapporti poco amichevoli con l’esercito, e oggi che il suo successore Xi punta forte sull’espansione della presenza cinese all’estero – certificata da bilanci militari che ogni anno aumentano di percentuali a doppia cifra e dalla nuova legge sulla sicurezza nazionale che estende i poteri dell’esercito sui “mari lontani” e sul cyberspazio – il bisogno di tenere sotto controllo l’esercito è più forte che mai. I militari cinesi, è noto, al momento di entrare in carica giurano fedeltà non alla Costituzione o al popolo, ma direttamente al Partito. Xi ha voluto prendere una misura di sicurezza in più, e l’anno scorso ha ricevuto un giuramento di fedeltà personale dai 18 generali più alti in grado dell’esercito, una pratica quasi feudale e poco utilizzata che rafforza il controllo del presidente. La purga tra i ranghi e tra gli ufficiali serve a liberare l’esercito dalla corruzione, ma anche ad avvertire chi chiede troppa autonomia.

Di più su questi argomenti:
  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.