I singoli stati nazione non ce la fanno con l'immigrazione
Bruxelles. Mentre Calais si sta trasformando nella Ventimiglia della Francia, l'ennesima tragedia nel Mediterraneo conferma il un grande “dejà vu” nella gestione delle migrazioni da parte dei governi europei. Nonostante il tentativo della Commissione di Jean-Claude Juncker di creare un embrione di politica comune sull'immigrazione, il dibattito è fermo al 19 aprile scorso, quando il più grave naufragio nel Mediterraneo aveva portato l'Europa e le sue capitali a versare molte lacrime di coccodrillo e ad annunciare grandi promesse di solidarietà. La proposta di quote obbligatorie per trasferire 40 mila richiedenti asilo da Italia e Grecia verso gli altri paesi europei è stata annacquata per le resistenze di diverse capitali. L'operazione militare che doveva portare alla distruzione delle reti dei trafficanti sulla costa sud del Mediterraneo è ferma allo stadio iniziale. Le idee della Commissione per facilitare gli ingressi legali di chi ne ha diritto – sia richiedenti asilo, sia migranti economici – non sono ancora state discusse. Eppure Calais e il naufragio a nord delle coste libiche (oltre 600 migranti finiti in mare per il rovesciamento di un barcone, 25 morti e ancora diversi dispersi) sono l'ennesima dimostrazione che l'immigrazione è diventata ingestibile con i soli strumenti nazionali.
Sui migranti di Calais, martedì la Commissione ha offerto 48 milioni di euro di aiuti e assistenza tecnica a Francia e Regno Unito, dopo un'escalation di accuse reciproche per i continui assalti di migliaia di migranti a Eurotunnel, che minacciano il beato isolamento britannico. “La situazione a Calais è un altro esempio lampante della necessità di più solidarietà e responsabilità nel modo in cui gestiamo le pressioni migratorie”, ha spiegato il commissario agli Affari Interni, Dimitris Avramopoulos. In realtà, ci è voluta più di una settimana alla Commissione prima di reagire alla disputa tra Francia e Regno Unito. Il torpore estivo su una delle “priorità politiche” dell'esecutivo Juncker ha il sapore di una piccola vendetta: i governi francese e britannico sono tra i più restii a trasformare l'immigrazione in una politica comune europea, compresa la proposta Juncker di introdurre quote obbligatorie per ripartirsi i richiedenti asilo.
[**Video_box_2**]Londra ha fatto ricorso a un opt-out previsto dai Trattati, tirandosi fuori dal qualsiasi tipo di solidarietà europea e si culla nell'illusione che restando lontana dal trattato Schengen possa chiudere le sue frontiere. Parigi, pur di non trasferire altra sovranità a Bruxelles, ha messo il veto ai criteri delle quote proposte da Juncker, facendo saltare l'obiettivo dei 40 mila siriani e eritrei da trasferire da Italia e Grecia verso altri paesi europei. Ma così, alla fine, Calais si è trasformata nella Ventimiglia francese: alcuni dei migranti che i gendarmi francesi rispedivano in Italia, magari dopo essere stati salvati nel Mediterraneo da una nave della marina britannica, hanno raggiunto il nord della Francia e ora premono per passare nel Regno Unito, attratti dalla sua crescita economica e da un welfare generoso. Calais “è un pezzo d un più grande puzzle che richiede un'ampia serie di risposte”, ha detto Avramopoulos: “dobbiamo agire in modo unito per affrontare una sfida che supera i confini nazionali”. Invece, Parigi e Londra litigano come facevano ieri Roma e Parigi, mentre i populisti anti-immigrazione ne approfittano ovunque. La Germania, che è citata come esempio per gli oltre 200 mila richiedenti asilo che dovrebbe accogliere quest'anno, sta vivendo una nuova esplosione di violenza anti-immigrazione. Nella piccola Lettonia, questa settimana, centinaia di persone hanno manifestato contro la decisione del governo di accettare 250 rifugiati da Italia e Grecia su base volontaria per rispettare la promessa di solidarietà.
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