Noi occidentali abbiamo perso la gara d'immaginazione con i regimi
New York. Non è per un calo di potenza o per un difetto della volontà che dopo la Guerra fredda l’occidente ha lasciato spazio di manovra a forme di governo non democratiche e tuttavia efficaci, dalla democrazia controllata di Mosca all’ultracapitalismo comunista della Cina passando per il medio oriente: è stata una mancanza di immaginazione. “L’occidente democratico ha vinto la Guerra fredda, ma nel farlo ha perso la sua immaginazione politica”, scrive sul Wall Street Journal Christopher Walker, direttore esecutivo del National Endowment for Democracy. Mentre la costante, pervasiva sfida con l’Unione sovietica “richiedeva una riserva di immaginazione per capire e rispondere alla sfida con idee, strumenti mediatici e tecnologie che erano parte del vantaggio naturale del mondo democratico”, il collasso dell’avversario ha indotto nell’occidente l’idea che la battaglia fosse vinta per sempre, senza possibilità di un colpo di coda finale. Nella mente dell’occidente il “vantaggio naturale” di cui parla Walker, un vantaggio innanzitutto ideale e immaginifico, è diventata un’eredità esclusiva, non trasferibile ad altri attori non democratici. Niente di più falso. “Oggi una serie di forze antidemocratiche che erano oltre la nostra capacità di immaginazione hanno il vento dalla loro parte e stanno cercando di cambiare a loro vantaggio l’ordine mondiale”, continua Walker. La Russia non è che l’esempio più immediato, per via del confronto diretto con l’Unione sovietica; ma anche la Cina e perfino lo Stato islamico hanno preso frecce nella faretra delle idee dell’occidente democratico, scoprendo che potevano essere scoccate in tutte le direzioni, non solo in quella che porta al trionfo liberale.
Walker ricorda che Bill Clinton quindici anni fa si è fatto una grassa risata quando gli hanno chiesto cosa pensasse del tentativo della Cina di censurare internet. Nella sua mentalità post Guerra fredda, internet era un asset invariabilmente al servizio della causa occidentale, avrebbe soffocato nel tempo la sete di controllo del Politburo. Nei quindici anni successivi, invece, paesi come la Cina hanno trovato il modo di far convivere l’apertura alla rete e la macchina della propaganda. All’insulare Corea del nord la rete ha fornito l’occasione per fare cyberdanni ad avversari che altrimenti avrebbe potuto soltanto insolentire a distanza, e lo Stato islamico ha concepito la sua efficacissima propaganda usando manuali di giornalismo occidentali. Così funziona per molti altri regimi, nemici o alleati dell’occidente. “Usando la globalizzazione a loro vantaggio, questi stati repressivi sono riusciti a portare l’occidente all’autocensura, riscrivendo le regole della libertà di espressione nell’accademia, nei think tank e nei media, che troppo rapidamente hanno abbandonato i loro standard”. E così una cultura fondamentalmente illiberale ha succhiato via l’immaginazione dell’occidente. Chi ha fornito l’arma per questo delitto perfetto è l’occidente stesso. La dicotomia della Guerra fredda permetteva di tracciare linee ideologiche chiare, mentre ora mezzi e fini si danno mischiati, strumenti liberali e occidentali servono scopi illiberali e anti occidentali (ma non viceversa). Conclude Walker: “Il compiaciuto atteggiamento in cui il mondo democratico si è crogiolato in questi anni non è pronto ad affrontare l’ambiente ostile che è emerso nei confronti dei valori liberali. Senza un rinnovamento dello scopo dell’occidente e una visione positiva della democrazie, il destino del mondo sarà dominato dalla fervida immaginazione di altri”.