Che succede se fallisce la rivolta locale a Sirte, capitale “fiorente” dello Stato islamico in Libia?
Roma. Lo Stato islamico ha scatenato una rivolta a Sirte, una città al centro della costa libica che ha cominciato a controllare a partire da gennaio e governa ufficialmente da giugno. Lo Stato ha ucciso un predicatore islamista del posto – e ostile ai nuovi arrivati – in una moschea locale che si chiama “Cordoba”, come la città spagnola (lo Stato islamico occupa invece la centrale moschea “Rabat”, come la capitale del Marocco). Da ieri alcuni giovani salafiti di Sirte combattono nella speranza di ripetere quello che è successo a Derna, un’altra città più a est che è stata sotto il controllo dello Stato islamico in Libia fino a giugno, fino a quando le milizie locali hanno cacciato gli estremisti (e quindi hanno fatto quello che gli altri poteri considerati presentabili fuori dalla Libia, come le autorità di Tobruk, di Tripoli e di Misurata, non erano ancora riusciti a fare, anzi, non avevano ancora pensato di fare). Si tratta in ogni caso di rivolte e scontri tra gruppi islamisti.
Cosa succede se questa rivolta a Sirte fallisce? Lo Stato islamico è specializzato nello strozzare il dissenso locale, lo ha già fatto negli anni scorsi in Siria e anche in Libia intende continuare la sua opera progressiva di colonizzazione. Mentre la campagna per le elezioni presidenziali americane gira la testa all’indietro e guarda al passato, al 2011, e il candidato Jeb Bush accusa la rivale Hillary Clinton di aver favorito l’ascesa dello Stato islamico in Iraq con il ritiro prematuro delle truppe quattro anni fa, lo Stato islamico in Libia intraprende un’ascesa simile e forse anche più accelerata. Soltanto che se ne parla poco. Un paper della settimana scorsa firmato dal ricercatore Aaron Zelin definisce Sirte “la capitale fiorente dello Stato islamico”. Dal 3 febbraio, da quando il gruppo ha messo su internet un video con la decapitazione di ventuno copti girato su una spiaggia di Sirte, a duecento metri di distanza da quello che un tempo era un resort turistico di lusso, non è successo assolutamente nulla sul piano della reazione internazionale (sono ancora in corso i negoziati libici che dovevano chiudersi a febbraio) e l’espansione è andata avanti a tappe regolari.
Lo Stato islamico di Sirte mette su internet a intervalli sempre più brevi foto panoramiche della città con marciapiedi e giardini curati, foto della sue operazioni, inclusa l’annessione di due città vicine (Harawa e Noufalyah). Tra le attività che tiene con regolarità alla luce del sole ci sono la hizba – che è quando la polizia religiosa circola per le strade alla ricerca di infrazioni della legge islamica da punire – e la dawa, il proselitismo, lunghe sessioni di giochi, canti e gare in strada per conquistare la simpatia locale. Il 17 luglio, quando si è celebrato la fine del Ramadan con la festa di Eid al Fitr, in piazza a scambiare saluti con la gente c’era anche Hussein al Karamy, il predicatore dello Stato islamico (non usa il suo nome vero, si fa chiamare Abu Moawiyah). Hussein presiede cerimonie di conversione dei cristiani, messe subito online, e anche di cosiddetta tawba, che è quando i dipendenti dello stato libico, per esempio del ministero dell’Interno, dichiarano il proprio pentimento davanti a funzionari dello Stato islamico. Il fratello di Hussein è Usama, leader del gruppo (che invece non si fa mai vedere, forse non fidandosi della relativa tranquillità di questi primi mesi di governo). Nota di colore allarmista: il capoluogo siciliano Palermo è più vicino a Sirte che a Milano.
[**Video_box_2**]Il 31 luglio è arrivato un nuovo, ennesimo video: “Messaggi da Sirte”. Per la prima volta il gruppo sfoggia concentrazioni di combattenti molto più numerose che nei video precedenti e la presenza – non è una novità – di volontari stranieri. Secondo un paio di testate locali sono arrivati sette leader iracheni, cinque sauditi e altri dal Bahrein – ma sono informazioni da prendere con un pizzico di sale.
Se la rivolta salafita a Sirte fallisce, non succederà nulla, per ora. Non ci sono altre fazioni libiche che intendono ingaggiare un scontro sul serio e i piani di intervento europei sono ancora rumors oppure sono vacui, la stessa vacuità che ha affossato il piano comune per l’immigrazione. Lo Stato islamico, intanto, guarda a sud di Sirte, dove c’è una catena di pozzi di petrolio.
Twitter @DanieleRaineri