Pax curda
Roma. Abdullah Oçalan ha preso una netta (e clamorosa) distanza dal suo Pkk, impegnato in una offensiva di attentati contro la Turchia, che ha di fatto sconfessata. Ha rinsaldato il suo asse con i curdi iracheni e ha rilanciato la sua proposta di pacificazione al presidente turco Erdogan. Il tutto, secondo gli abituali moduli criptici del linguaggio e della tecnica politica anatolica. Prigioniero a vita nel carcere dell’isola di Imrali, una sorta di Alcatraz nel Bosforo, Oçalan, col sicuro assenso dei servizi segreti turchi, ha inviato due giorni fa il suo fidatissimo plenipotenziario Amin Penjweni a Erbil per concordare col premier curdo Nechirvan Barzani una linea comune a fronte di un Pkk che palesemente non ne riconosce più la leadership ed è sotto il comando settario e avventurista di Fehman Huseyin. Le dichiarazioni rese alla stampa dal premier curdo iracheno (ovviamente il fiduciario di Oçalan non ha parlato) danno il senso della manovra in atto e sono di fatto di condanna netta dell’offensiva del Pkk, sino al punto che Barzani, come già suo padre Masud, presidente del Kurdistan, non ha condannato affatto i bombardamenti aerei turchi dei santuari del Pkk (che pure colpiscono il suo Kurdistan), ma si è limitato a deprecare le uccisioni dei civili curdi. Non solo, Barzani ha nettamente attribuito al solo Pkk la responsabilità della fine della tregua e quindi la colpa della ripresa della guerra con la Turchia: “Purtroppo, i bombardamenti turchi sono conseguenza della decisione provocatoria del presidente della Comunità del Kurdistan (KCK, l’organo amministrativo creato dal Pkk) di dichiarare terminato il processo di cessate il fuoco e di pace tra la Turchia e il PKK”. Il tutto in un contesto e in una successione dei fatti inequivocabili. La dichiarazione di ripresa unilaterale delle ostilità contro la Turchia è infatti avvenuta dopo che il Pkk ha incredibilmente attribuito al governo di Ankara la responsabilità dell’attentato di Suruç (32 giovani volontari curdo turchi dilaniati) – messo in atto però da un kamikaze dell’Isis – e invece di menare un’offensiva contro l’Isis in Siria, ha iniziato a uccidere poliziotti e soldati turchi. Una strategia avventurista frontalmente criticata nei giorni scorsi da Masud Barzani. Nechirvan Barzani ha poi duramente condannato ancora una volta il demenziale attentato del Pkk contro l’oleodotto che trasporta il petrolio di Kirkuk in Turchia. Attentato sul suolo del Kurdistan iracheno che colpisce gravemente le risorse economiche del Kurdistan iracheno, unico presidio affidabile contro l’Isis. Episodio marginale, ma che rispecchia bene l’avventurismo di matrice marxista leninista del Pkk, che considera come avversari anche i curdi iracheni, e che si è impiantato con le sue basi militari sui monti Qandil, tentando di allargarsi anche in altre zone, tanto da aver spinto il governo del Kurdistan iracheno a costruire un lungo muro (ufficialmente destinato a bloccare i contrabbandieri) per isolare questa fastidiosa e turbolenta enclave.
Questa netta presa di distanza di Barzani – chiaramente concordata con l’emissario di Oçalan – mira a un obiettivo evidente, enucleato dal premier curdo iracheno: “Riprendere gli sforzi in modo che entrambe le parti tornino al tavolo dei negoziati e riprendano il processo di pace, da dove è stato interrotto. Faremo di tutto per fermare la guerra tra Turchia e Pkk”.
Dunque, le analisi che provengono dal governo curdo, che rappresenta l’unico presidio democratico e affidabile della Mesopotamia, nonché unico bastione contro l’Isis, smentiscono platealmente e addirittura ribaltano la versione che impera sui media occidentali politically correct, che attribuiscono la responsabilità della ripresa di questa sanguinaria guerra al “perfido” Tayyp Erdogan.
[**Video_box_2**]Naturalmente – e non per la prima volta – l’avventurismo militarista del Pkk, da cui da anni ha preso nette distanze lo stesso Oçalan, non è affatto sgradito al presidente turco. Una guerra a bassa intensità contro il Pkk gli torna oggi estremamente utile per tentare una coalizione col reazionario e iper nazionalista Mhp e soprattutto col laico Chp (che ha sempre avversato per un dogmatico kemalismo la road map di pacificazione col Pkk, fortemente voluta sino a tre settimane fa da Erdogan). Ma gli torna ancor più utile nel caso che questa coalizione non si faccia e che quindi la Turchia torni alle urne a settembre. Presentarsi all’elettorato col paese in guerra contro il Pkk e scosso dagli attentati è indubbiamente uno scenario gradito nel faraonico palazzo presidenziale di Ankara. Anche perché Erdogan ha appena avuto la riprova che Oçalan – e soprattutto il governo del Kurdistan iracheno – sono di fatto più vicini alle sue posizioni che a quelle dei dirigenti avventuristi del Pkk.