La crisi di coscienza delle diocesi americane che investono sul petrolio
Roma. E’ peccato per una diocesi cattolica continuare a investire nel petrolio dopo Laudato si’? In particolare l’enciclica ecologista di Papa Francesco dice che “è diventato urgente e impellente lo sviluppo di politiche affinché nei prossimi anni l’emissione di biossido di carbonio e di altri gas altamente inquinanti si riduca drasticamente, per esempio sostituendo i combustibili fossili e sviluppando fonti di energia rinnovabile”. E poi: “Sappiamo che la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas – deve essere sostituita progressivamente e senza indugio. In attesa di un ampio sviluppo delle energie rinnovabili, che dovrebbe già essere cominciato, è legittimo optare per l’alternativa meno dannosa o ricorrere a soluzioni transitorie”. Eppure non è un caso se molte diocesi statunitensi hanno investito proprio in imprese che operano nei settori dell’energia tradizionale. Secolarizzazione a parte, il cattolicesimo americano negli ultimi anni ha vissuto momenti economicamente difficili per via degli scandali legati alla pedofilia, e ben 12 diocesi hanno dovuto dichiarare bancarotta in seguito alle richieste di risarcimenti da parte di persone che hanno denunciato molestie e abusi sessuali a opera di esponenti del clero. Poiché questa crisi ha coinciso con un periodo di continui rialzi dei prezzi del greggio, la scelta di cavalcare l’onda degli idrocarburi per ammortizzare un po’ di questo salasso era quasi obbligata.
Qualche maligno potrebbe ascrivere ai peggiori stereotipi sui gesuiti il fatto che la Laudato si’ sia stata pubblicata proprio nel momento in cui i prezzi degli idrocarburi stanno crollando. L’arcidiocesi di Chicago, terza degli Stati Uniti per importanza, ha iniziato il dibattito, annunciando un ripensamento sui 100 milioni di dollari investiti nei combustibili fossili. “Abbiamo iniziato a valutare le implicazioni dell’enciclica papale nei suoi molti aspetti, inclusi gli investimenti e anche in temi come l’energia e i materiali da costruzione”, ha detto il capo delle operazioni dell’arcidiocesi Betsy Bohlen. Per il momento tacciono quelle diocesi di Boston nel Massachusetts, Rockville Centre nello stato di New York, Baltimora nel Maryland e Toledo nell’Ohio, che pure hanno dichiarato di aver puntato vari milioni di dollari sui combustibili fossili. Tra il 5 e il 10 per cento dei propri investimenti, attorno al 7,1 per cento rappresentato dalle imprese energetiche nella Top 500 di Standard & Poor’s. Insomma, una quota quasi fisiologica, specie tenendo conto del fatto che la Conferenza episcopale degli Stati Uniti ha elaborato alcune direttive etiche sugli investimenti che vietano tassativamente di investire in imprese che abbiano a che fare con aborto, contraccezione, pornografia, tabacco e guerra. Insomma, l’energia era un’alternativa redditizia e lecita, malgrado le contestazioni che da un po’ di tempo portano avanti gruppi di suore e religiosi progressisti.
[**Video_box_2**]A settembre, però, Papa Francesco andrà a parlare al Congresso di Washington. Presumibilmente dirà a rappresentanti e senatori che bisogna passare alle energie rinnovabili. Jeb Bush ha detto che lui non si fa dettare la politica economica “né dai miei vescovi, né dai miei cardinali né dal Papa”, ma si sa che lui è cresciuto nella fede episcopale, ed è diventato cattolico solo per il matrimonio con una messicana. Per le diocesi, a quel punto, i nodi verranno al pettine. Essendo stato nominato direttamente da Papa Francesco, l’arcivescovo di Chicago Blase Cupich ha probabilmente cercato di anticipare i tempi. A maggio già la chiesa d’Inghilterra aveva deciso di disinvestire dal fossile asset ammontanti a 12 milioni di sterline: una scelta fatta malgrado il Primate anglicano Justin Welby prima di seguire la vocazione che lo ha portato all’arcivescovado di Canterbury avesse lavorato per 11 anni proprio nell’industria petrolifera: prima Elf Aquitaine, poi Enterprise Oil Plc.