I teatri di Londra sottomessi alla sharia
Roma. Qualche anno fa, nel pieno dell’affare delle vignette danesi su Maometto, il grande drammaturgo Simon Gray attaccò il direttore artistico del National Theatre, Nicholas Hytner, accusandolo di fare lo spavaldo sul cristianesimo e di essere mite sull’islam, sostenendo che avrebbe potuto ospitare l’irriverenza di Jerry Springer ma che non avrebbe mai irriso i musulmani in uno spettacolo teatrale. Allora Gray venne attaccato dall’establishment anglosassone come nemico della cultura. Adesso il compianto Gray è stato vendicato.
Fra due settimane, il National Theatre avrebbe ospitato la pièce “Homegrown”, incentrata sulla radicalizzazione dei musulmani britannici che vanno a combattere con l’Isis in Siria o in Iraq. Ma chi aveva acquistato il biglietto si è visto rimborsare il costo. Perché l’opera teatrale è stata eliminata dal cartellone della stagione. La regista, Nadia Latif, era stata convocata dalla polizia per avere informazioni sul copione. Lei e il drammaturgo Omar El-Khairy hanno detto al Times che non pensano che la polizia abbia ordinato la cancellazione dello spettacolo teatrale, ma che il National Theatre abbia ceduto all’“autocensura” perché “temeva la polemica”.
Adesso campeggia una dichiarazione sul sito del teatro: “Il National Theatre è spiacente di annunciare che la sua produzione di ‘Homegrown’ non avrà luogo… I biglietti non sono più in vendita. Tutti i possessori di biglietti saranno rimborsati”. In un’intervista con il Guardian a giugno, Paul Roseby, direttore del National Youth Theatre, era stato inamovibile nel difendere l’importanza dell’opera teatrale che intendeva far luce su un fenomeno impressionante: più di settecento cittadini inglesi partiti a combattere per il Califfo, provenienti dalla classe media musulmana del Regno Unito, abiurata per giurare fedeltà alla guerra santa.
Figure di spicco del mondo delle arti britanniche hanno scritto una lettera aperta sul Times per protestare contro la decisione del National Theatre, fra i quali lo scultore Anish Kapoor, il drammaturgo David Hare, l’attore Simon Callow, il commediografo Howard Brenton e i capi del Pen Club, in cui dicono di “temere che la politica del governo in risposta all’estremismo sia la creazione di una cultura della cautela nelle arti”.
Dal Tamerlano a Lisistrata
Non è la prima volta che la sharia, e la sua alleata prediletta che è la codardia delle élite, decidono cosa debba andare in scena nei teatri della capitale inglese. Il regista Richard Bean è stato costretto a censurarsi per un adattamento di Aristofane e della sua commedia “Lisistrata”, in cui le donne della Grecia fanno sciopero del sesso per fermare i loro uomini che volevano andare in guerra. Nella versione di Bean, le vergini islamiche scioperano per fermare gli attentatori suicidi del jihad. Il Royal Court Theatre di Londra ha chiesto che il registra stralciasse la sua opera.
[**Video_box_2**]E il “Tamerlano” dell’elisabettiano Cristopher Marlowe, dove si arriva fino al punto di bruciare il Corano e sfidare Maometto a vendicarsi su di lui, è stato censurato al Teatro Barbican sotto la regia di David Farr. Così quei versi, là dove Tamerlano dice che Maometto “non merita d’essere venerato” e anzi “sta all’inferno”, sono spariti. A un certo punto Marlowe fa bruciare il Corano da Tamerlano. Mentre il Corano brucia, gli fa anche sfidare il Profeta gridando: “E ora, se ne hai davvero il potere, vieni giù e spegni il rogo”. La versione epurata non ha incluso la scena in cui il protagonista brucia il Corano. Al posto del testo sacro dell’islam, il regista ha appiccato il fuoco sul palco a un mucchio di libri anonimi. “Jihadi John” e il Califfo ringraziano.