Bangkok Dangerous 2.0
La Thailandia ha molti nemici, per questo l'attentato di Bangkok rende le cose ancora più complicate
“L’attentato non ha l’impronta dei separatisti del sud. Ed è molto improbabile, dato il numero delle vittime, che possa essere attribuito a fazioni politiche locali, che in genere preferiscono lanciare messaggi evitando i morti”. E’ l’opinione di Anthony Davis, analista dell’agenzia HIS Jane’s (specializzata in affari militari e intelligence) di base a Bangkok. “Date tali premesse, tutto fa pensare a gruppi terroristici internazionali”, conclude Davis. L’ipotesi è confermata dalla sua collega Alecia Quah: “Un attacco degli jihadisti islamici, nonostante ancora non ci siano prove sufficienti, corrisponde alle caratteristiche dell’attentato al tempio di Erawan”.
La pista del terrorismo islamico, in questo momento, appare condivisa da molti osservatori thailandesi e internazionali. Che però non sono concordi sulla matrice. Alcuni sospettano del Barisan Revolusi Nasional-Coordinate, gruppo estremista che reclama l’indipendenza delle provincie musulmane nel sud della Thailandia. Per altri, specie per i cinesi, l’attentato è opera di terroristi uiguri, che vogliono “vendicare” la recente deportazione in Cina da parte del governo thai di 109 uiguri. C’è poi chi ricorda il tentativo di attentato all’ambasciata israeliana di Bangkok da parte di Hezbollah nel 1991 e, nel 2012, la bomba esplosa prematuramente in una base Hezbollah a Bangkok. Secondo Angelo Rabasa, esperto islamista della Rand Corporation, l’attacco potrebbe essere opera di un gruppo jihadista indipendente o collegato ad al Qaida. Altri ancora indicano la Jemaah Islamiyah, movimento transnazionale con cellule in Malaysia, nelle Filippine, a Singapore e in Thailandia.
“Hambali è stato arrestato qui, nella provincia di Ayutthaya, con un passaporto falso procurato da un musulmano di Narathiwat”, dice una fonte del Foglio ricordando l’indonesiano Nurjaman Riduan bin Isomuddin, alias Hambali, il proconsole di Osama bin Laden nel sud-est asiatico, responsabile dell’attentato di Bali nell’ottobre del 2002, dove sono morte 202 persone. Il suo progetto era di costituire uno stato islamico in Indonesia, Malaysia, Singapore, Brunei, Cambogia e Thailandia. Catturato nel 2005 in un’operazione congiunta della Cia e della Csd, la Crime Suppression Division thailandese, attualmente è detenuto a Guantanamo.
L’ipotesi più inquietante è quella di una reincarnazione della Jemaah Islamiyah in un nuovo gruppo che abbia formato una ba’ayat, un’alleanza con l’Isis che vorrebbe espandere l’influenza del Califfato. In questo caso, secondo Alecia Quah, il rischio è di un contagio terroristico non solo in Thailandia ma anche in tutto il sud-est asiatico. Insomma, la Thailandia potrebbe tornare a essere quella “giungla degli specchi” che era durante la Guerra fredda, quando qui si confrontavano in modo occulto le forze che si combattevano in Corea o in Vietnam.
[**Video_box_2**]“Bangkok Dangerous”: come nel film dove Nicolas Cage interpretava un killer incaricato di assassinare un uomo politico, la capitale thai continua a essere lo scenario di vicende in cui l’esotismo si unisce a una realtà spesso tragica. Ancor più pericolosa potrebbe rivelarsi Bangkok qualora i responsabili degli attentati non fossero islamici. Nel caso si trattasse di thai, qualunque ne fosse il colore, lo scontro si radicalizzerebbe in modo forse incontrollabile. Tanto più ora, che il governo militare ha ulteriormente posticipato le prossime elezioni condizionandole all’approvazione di una nuova Costituzione che rafforza il potere dell’esecutivo. Senza contare che il Regno tra poco potrebbe trovarsi nel momento più temuto dai sudditi: la scomparsa del venerato re Bhumibol Adulyadej, gravemente malato. Un’eventualità dalle conseguenze imprevedibili ma di enorme magnitudine.
L'identikit del ricercato rilasciato dalle autorità thailandesi (foto LaPresse)
I primi risultati delle indagini non aiutano a risolvere tanti misteri. Anzi, li rendono ancora più oscuri. L’unica certezza – così ha dichiarato il capo della polizia generale Somyot Poompanmoung – è che l’attentatore faccia parte di un “network”. Ma di quella rete dovrebbe essere una pedina sacrificabile, almeno secondo la polizia. Solo così si spiega la dichiarazione del primo ministro, il generale Prayuth Chan-ocha: “Voglio dire a chi ha messo la bomba di costituirsi se vuole assicurarsi la salvezza. Noi troveremo il modo di proteggerlo”.
Nel frattempo l’attentatore è stato identificato, sia pure in modo vago e solo con un identikit: si tratterebbe proprio dell’uomo in maglietta gialla e con lo zaino in spalla ripreso dalle telecamere di sorveglianza nel tempietto di Erawan. Il generale Prawut Thawornsiri, portavoce della polizia, ha dichiarato di essere “assolutamente sicuro” che si tratti di uno straniero (o comunque di origini miste), che si trova ancora in Thailandia e ha dei complici thai. Su di lui pende una taglia di un milione di baht (28 mila dollari).
Per fortuna, ancora una volta, i thai rivelano i loro lati migliori. Nonostante la potenziale identificazione del colpevole, a Bangkok gli stranieri non sono certo guardati con sospetto. Anzi, sono invitati a condividere il lutto nazionale – del resto sono stati tra le vittime degli attentati: 7 morti accertati e 55 feriti su un totale di 20 morti e 123 feriti. Né si sono fatti intimidire: il tempietto di Erawan è tornato a essere meta di fedeli in preghiera. Ma soprattutto sembrano aver ritrovato quel senso di appartenenza al khon thai, il popolo thai, composto da tutti quelli che s’identificano nella khwampenthai, la thailandesità. Qualcosa che supera ogni divergenza di colore.
I conservatori inglesi