Pax turca, scordiamocela
Ora Erdogan ripete le elezioni, ma la Turchia ha due guerre in più
Roma. La Turchia deve ripetere le elezioni entro poche settimane perché quelle del 7 giugno non hanno prodotto un governo di coalizione (la scadenza impossibile per formare un governo è domenica). Il Wall Street Journal accusa tra le righe il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, di avere puntato a questa ripetizione del voto fin dal giorno della sconfitta di due mesi fa, quando è successo che per la prima volta in dodici anni il suo partito Akp non ha raggiunto la maggioranza assoluta “per colpa” del successo dei curdi, che si presentavano alle urne come partito per la prima volta nella storia del paese. Di questa accusa si renderà conto più avanti. Il piano ambizioso di Erdogan prevedeva la modifica della Costituzione e la trasformazione della Turchia in una repubblica presidenziale – con lui presidentissimo. Per ora è fallito, causa mancanza di voti necessari, ma Erdogan ha a disposizione un secondo tentativo.
Il problema è che in questi due mesi senza governo la Turchia ha detto addio alla miracolosa immunità dalla violenza che finora l’aveva protetta – anche se confina con la Siria e con l’Iraq in guerra. Ieri l’esercito turco era impegnato in scontri diretti a terra contro i rivoluzionari curdi del Pkk, tra le case di Silvan e Semdinli nella provincia meridionale di Hakkari (il governo ha imposto un blackout mediatico totale, niente stampa e le ambulanze non possono entrare, quindi si sa poco: ci sono quattro morti e colonne di fumo). L’escalation è cominciata il 20 luglio quando un attentatore suicida dello Stato islamico s’è fatto saltare in aria dopo essersi infilato in un evento di giovani curdi a Suruç. Erdogan ha concesso le basi militari nel sud agli americani – inclusa la più grande, Incirlik – che ora le usano per bombardare i gruppi estremisti in Siria e Iraq. La Turchia ha cominciato una sua campagna di raid aerei contro il Pkk e contro lo Stato islamico, che però era tutta diretta contro le basi curde e basta fare un confronto tra i numeri. Contro il Pkk: 110 caccia F-16 in quattro ondate, che hanno colpito 400 bersagli soprattutto nel nord dell’Iraq, ma anche dentro la Turchia, ed è stata la prima volta dal settembre 2012. Contro lo Stato islamico: tre jet hanno colpito cinque bersagli.
Questo ciclo di violenza in cui esercito e curdi si scambiano bombe e agguati non è una novità e quindi per ora è ancora presto per cedere alla tentazione di parlare di “guerra civile” nel sud della Turchia. I critici di Erdogan, scrive il Wall Street Journal, sostengono che in questa occasione il presidente ha ordinato le operazioni militari pesanti contro il Pkk in vista delle elezioni bis: così il clima di guerra scoraggia i curdi democratici e non li fa ritornare ai seggi, ed eccita i nazionalisti turchi e li fa votare in massa. Se le elezioni questa volta vanno come vuole Erdogan, allora ci sarà un presidente turco con nuovi poteri.
[**Video_box_2**]Due giorni fa la provincia di Raqqa dello Stato islamico ha messo su internet un video annuncio dedicato al governo turco, eloquente fin dal titolo: “Messaggio alla Turchia”; così, secco, come nel video della decapitazione del giornalista americano James Foley uscito un anno fa, che era intitolato “messaggio all’America”. Lo speaker accusa Erdogan di essere “un satana traditore” e di avere venduto metà della Turchia all’America crociata e l’altra metà al Pkk (e qui non ci siamo: il governo di Ankara considera il Pkk un pericolo maggiore rispetto agli estremisti islamici). Chiede ai turchi di sollevarsi contro il loro governo apostata in nome dell’islam. Il paese è infestato da cellule jihadiste, stanziali e di passaggio, e fino a luglio c’è stata una tregua non scritta con le autorità, perché il territorio serve come retrovia delle guerre in Siria e Iraq. La tregua è ora scaduta.