In Cina il crollo delle Borse già inizia a bastonare giornalisti e banchieri
Il giornalismo politico è da sempre un mestiere rischioso in Cina. Mettere il naso negli affari del Partito comunista, interpretare male le direttive che arrivano dall’alto, infastidire qualche potente può rovinare una carriera, o perfino portare a un processo e alla prigione. Ma nel mezzo della crisi finanziaria e del crollo delle Borse di Shanghai e Hong Kong, che nell’ultima sessione hanno chiuso in ribasso dopo una notevole volatilità, anche i giornalisti finanziari non sono più al sicuro. Ieri, mentre era notte qui da noi, la polizia cinese ha arrestato Wang Xiaolu, giornalista di Caijing, uno dei magazine più famosi e rispettati del paese. In seguito è stato specificato che il giornalista è stato “convocato”, ma la dicitura non cambia le accuse gravi che sono state formulate contro Wang, che avrebbe “inventato e diffuso notizie false sulla Borsa e il mercato delle materie prime” in combutta con altri giornalisti, si legge in un comunicato di Caijing, che si è assunto la responsabilità per gli articoli scritti dal suo giornalista.
Il 20 luglio Wang Xiaolu aveva pubblicato uno scoop in cui rivelava che la China Securities Regulatory Commission (Csrc), la commissione che regola il mercato azionario, stava progettando di fare uscire i fondi del governo dal mercato. La notizia provocò un piccolo crollo dei mercati, e la commissione definì l’articolo di Caijing come “irresponsabile”. La “convocazione” giudiziaria è arrivata però oltre un mese dopo, nel mezzo del tracollo dei mercati, e nel giorno in cui il governo cinese ha deciso di reagire e colpire la quantità troppo varia di informazioni pubblicate in questi giorni dai solitamente disciplinati giornali di stato.
In questi giorni di crisi e di reazioni contraddittorie da parte della leadership di Pechino, uno dei sintomi della scarsa unità di intenti nei palazzi del potere era il fatto che i giornali e i media, spesso portavoce della linea unica del Partito, reagissero con i commenti più disparati e contraddittori, segno dei contrasti e dell’indecisione che regnavano nel Partito. Martedì due importanti giornali finanziari, il Securities Daily e l’Economici Information Daily, entrambi di proprietà dello stato, sono usciti con due editoriali di senso diametralmente opposto sulla necessità del governo di intervenire o meno sui mercati. Poi le cose sono cambiate. Il Giornale del popolo, quotidiano-portavoce del Partito, già da tempo non cita la crisi delle Borse, e martedì è uscito con una prima pagina immacolata da qualsiasi notizia preoccupante sull’andamento della finanza. La censura ha iniziato a intervenire più pesantemente, emettendo un elenco di articoli troppo pessimisti da cancellare da tutti i media. Già a luglio il Partito aveva vietato ai giornali di pubblicare analisi “troppo approfondite” sui mercati, di evitare che tra i lettori si diffondessero “panico e tristezza”, e di omettere “parole caricate emotivamente come “crollo” o “collasso”. La convocazione di Wang Xiaolu ha completato il recupero del controllo della Cina su un’informazione che, come i mercati, era sfuggita di mano.
Oltre a Wang ieri sono state “convocate” altre dieci persone. Tra questi, due dipendenti della Csrc, ma soprattutto otto membri di Citic Securities, la più grande banca di investimenti del paese. Tra questi Xu Gang, il general manager della compagnia. E’ come se la polizia di New York arrestasse uno dei più importanti banchieri di Goldman Sachs, ha commentato il giornalista di Hong Kong George Chen su Twitter. Il Financial Times ha rivelato inoltre che la Csrc ha aperto delle indagini su tutte le principali banche di investimento del paese, tra cui Haitong Securities, GF Securities, Huatai Securities e Founder Securities.