Joe Biden (foto LaPresse)

Seconde linee

La corsa di Biden e le boutade su Bloomberg. Sparate per rovesciare la diarchia Trump-Hillary. Lunedì Barack Obama ha detto al vicepresidente, Joe Biden, che non ostacola né incoraggia la sua candidatura alla presidenza, una dichiarazione di neutralità che nella logica felpata della campagna elettorale equivale a qualcosa di simile a un endorsement.

New York. Lunedì Barack Obama ha detto al vicepresidente, Joe Biden, che non ostacola né incoraggia la sua candidatura alla presidenza, una dichiarazione di neutralità che nella logica felpata della campagna elettorale equivale a qualcosa di simile a un endorsement. La Cnn l’ha chiamata una benedizione. Non che il navigatissimo ex senatore abbia bisogno del timbro presidenziale per correre, ma una consultazione informale con il commander in chief è sempre opportuna, specialmente se l’avversario elettorale è stato un compagno di gabinetto per oltre un mandato. E specialmente se di cognome fa Clinton. Biden scioglierà la riserva a settembre, ma se fin qui la sua candidatura è stata sostenuta da gruppi piuttosto eterogenei, tenuti insieme più dall’allergia per Hillary che da visioni politiche alternative, ora una certa massa di consenso si sta condensando attorno al vicepresidente.

 

L’incontro della settimana scorsa con Elizabeth Warren, la senatrice del Massachusetts diventata il simbolo della lotta alle diseguaglianze e all’ingordigia di Wall Street, ha rinfocolato il dibattito attorno a un Biden impegnato a studiare il panorama ideologico democratico per vedere se c’è uno spazio di manovra a sinistra di Hillary e a destra del socialista Bernie Sanders, candidato la cui ascesa nei sondaggi tenderebbe a dimostrare l’inconsistenza di Hillary. Quando si parla di diseguaglianze la Clinton ha più di un problema a risultare convincente, e la pesante flessione di Wall Street sull’onda della crisi cinese può far riaffiorare sentimenti antisistema (mai davvero sopiti: basta guardare un comizio di Sanders per capire) che difficilmente l’eroina dell’establishment può catalizzare. Se nell’equazione si aggiunge lo scandalo permanente delle email ufficiali stoccate nei server della magione di famiglia e finite all’attenzione dell’Fbi, si profila una possibile crepa nella candidatura dell’inevitabile Hillary. L’opinionista Albert Hunt suggerisce su Bloomberg View una strategia d’urto per rovesciare il tavolo della sinistra: un ticket Biden-Warren, mossa ardita modellata sulla scelta di Ronald Reagan nel 1976, quando assoldò il liberal Richard Schweiker e per poco non riuscì in un colpo impossibile. Sono scenari politicamente improbabili ai quali vanno aggiunti i dubbi famigliari di Biden. La leggenda vuole che il figlio Beau, morto a giugno per un tumore al cervello, spingesse il padre a candidarsi, ma dall’entourage del vicepresidente trapela l’opinione contraria della moglie Jill, che non sarebbe pronta per imbarcarsi nell’ennesima, sfiancante avventura politica. La campagna elettorale americana è un affare di famiglia, non una sfida individuale.

 

[**Video_box_2**]L’idea tecnocratica di Murdoch
Comunque vada a finire, i rumori intorno a Biden sono un indice dell’implicito sgradimento in casa democratica per la griglia di partenza della campagna. Serpeggia il bisogno di seconde linee e di opzioni non inevitabili, e la regola vale anche nel campo repubblicano, dominato dai decibel di Donald Trump. Rupert Murdoch, maestro di boutade su Twitter e pater familias di quella Fox News che con Trump è in guerra aperta, ha lanciato la candidatura di Michael Bloomberg. “Con Trump che diventa un candidato serio, è tempo che il prossimo candidato miliardario, Mike Bloomberg, salga sul ring. Il migliore sindaco”, ha scritto il magnate australiano. Ennesima sparata, s’intende, lanciata dallo yacht sulla barriera corallina al largo delle coste australiane, fra un tweet e l’altro in cui smontava la tesi che la suddetta barriera sia stata danneggiata dai cambiamenti climatici. Ma anche questa uscita estiva riflette un sentimento ricorrente nella destra americana, quello di chi vorrebbe un tecnocrate, un manager credibile a bassa intensità ideologica per risollevare un partito frammentato e in preda ai fumi della retorica più crassa. Lo stesso metodo lo aveva usato per la crisi dei giornali, suggerendo tempo fa allo stesso Bloomberg di comprarsi il New York Times. Poi però perfino lo Squalo ha avuto una resipiscenza, e si è parzialmente corretto: “Non ho detto che lo voterei! E’ soltanto un amico che ammiro”. Lo candida, ma non è detto che lo voterebbe: tutto pur di movimentare la line up elettorale.