Emergenza immigrazione anche in Sudamerica. I modi spicci del chavista Maduro
Quasi seimila persone quindi hanno varcato il confine in pochi giorni, ma ancora pochi rispetto ai 684.050 residenti colombiani in Venezuela contati dalla Banca Mondiale nel 2012, nulla a confronto dei 6,5 milioni stimati dal governo colombiano lo scorso maggio. Un situazione non facile da comprendere dati i confini territoriali e umani tra i due Paesi sono sempre stati porosi – ad esempio il presidente venezuelano Nicolás Maduro, nato in una zona di confine, si narra sia in realtà colombiano –, nella quale lo Stato venezuelano di Táchira è culturalmente più affine alla regione andina della Colombia che non al resto del Venezuela, e a sua volta la costa caraibica della Colombia è più vicina alla zona di Maracaibo che non a Bogotá o Medellín.
Nel passato questi fattori socio-geografici avevano agevolato il passaggio oltre confine di molte persone che scappavano dalla povertà della Colombia per raggiungere il più ricco Venezuela, benedetto dal petrolio. Ma negli ultimi anni i disastri del regime bolivariano hanno fatto si che molti venezuelani scegliessero di trasferirsi all’estero, e se le mete preferite erano Stati Uniti, Spagna o Italia, tuttavia non mancavano imprenditori e professionisti che decidevano di andare in Colombia per cogliere l’occasione del buon momento economico del paese, tanto che nell’agosto del 2014 erano registrati in Colombia almeno 10.000 venezuelani espatriati.
Se i venezuelani partivano, i colombiani in Venezuela rimanevano attratti dalle promesse elettorali di Chávez, che vedeva nelle persone dai titoli di residenza dubbia un fertile terreno propagandistico. Ma adesso con un Maduro con livelli di impopolarità al 70 per cento che ha deciso di cavalcare il cavallo della xenofobia a sentirsi minacciati sono in tanti, nonostante i numeri dicano che ancora siano un minima parte quelli che hanno già deciso di emigrare.
Il presidente colombiano Juan Manuel Santos, già impegnato in quei negoziati con le Farc di cui proprio il Venezuela è un mediatore, ha detto che non vuole farsi trascinare nella rissa verbale sugli emigranti.
[**Video_box_2**]Nei giorni scorsi un vertice tra i due ministri degli Esteri María Ángela Holguín e Delcy Rodríguez nella città colombiana di Cartagena non ha portato a nessun miglioramento: “E’ stato un incontro duro”, ha riferito la colombiana Holguín. E sembra che Maduro si rifiuti perfino di rispondere a Santos al telefono.
“Spianare le case, cacciare a forza gli abitanti, separare le famiglie, non lasciarle prendere i loro pochi beni e marcare le case per poi demolirle sono procedimenti totalmente inaccettabili e ricordano episodi amari dell’umanità che non possono essere ripetuti”, ha detto Santos. “Il Venezuela si rispetta!”, è lo slogan di Maduro.
Origine della chiusura della frontiera e dello stato di emergenza è stato un attacco armato in una zona di confine in cui sono rimasti feriti tre militari venezuelani, in un’area dove già da diverso tempo esisteva un “flusso di shopping transfontaliero”, che facilmente può degenerare in contrabbando dato in Venezuela manca quasi tutto, nonostante la benzina continui a costare meno dell’acqua minerale. Il governo di Caracas ha accusato quello colombiano di appoggiare paramilitari e contrabbandieri per cercare di destabilizzare la situazione in Venezuela. Da Bogotà è stato risposto che gli attacchi non erano opera loro e in questo modo era il regime venezuelano a sviare l’opinione pubblica, cercando invece di coprire regolamenti di conti interni a cartelli di narcos venezuelani per far saltare quelle elezioni legislative di dicembre che stando ai sondaggi potrebbero trasformarsi per i chavisti in una disfatta.