Non solo matrimoni gay
New York. Casey Davis sta andando in bicicletta dal Kentucky alla West Coast, una solitaria pedalata di denuncia che evoca la tradizione americana delle marce per la libertà. Quella che invoca è la libertà religiosa, la “libertà più apprezzata d’America”, come l’ha definita Benedetto XVI, messa all’angolo nella contea del Kentucky in cui Davis lavora come inserviente presso il tribunale che emette atti amministrativi, fra i quali i certificati di matrimonio. E’ la stessa contea in cui martedì mattina un’altra inserviente di nome Kim Davis ha deciso di difendere la propria libertà di coscienza e credo rifiutandosi di mettere il timbro sul certificato di matrimonio di due coppie omosessuali (si dovrebbe in realtà osservare che Davis ha rifiutato la stessa richiesta anche a coppie eterosessuali, per sottolineare la natura polemica del gesto ed evitare formalmente l’accusa di discriminazioni). Lo ha fatto sfidando apertamente la Corte suprema, che prima ha sentenziato sul diritto costituzionale al matrimonio fra le persone dello stesso sesso, poi ha respinto, senza elaborare ulteriori motivazioni, il ricorso di chi chiedeva tutele laddove la pratica entra in conflitto con le convinzioni religiose dei singoli.
Gli avvocati di Davis hanno scritto al tribunale locale che “la sua coscienza le impediva di dare l’approvazione alla licenza matrimoniale” e lei, che ha invocato direttamente l’autorità di Dio, affronterà da oggi in tribunale le conseguenze del suo gesto sovversivo, mentre il suo collega si mette in marcia verso la West Coast per difendere quel diritto “per cui sono morte tantissime persone”. Non è prevista obiezione di coscienza né esenzione per motivi religiosi per i pubblici ufficiali che si rifiutano di prestare un servizio contrario alle loro convinzioni. Le alternative sono l’abiura in coscienza oppure affrontare le conseguenze legali della resistenza, conquiste piuttosto singolari se si pensa che a brandirle è un movimento, quello gay, che ha dovuto sopportare una lunga vicenda di angherie poliziesche e costrizioni culturali. Forti dei pronunciamenti inequivocabili della Corte, le coppie gay che chiedevano la notifica formale del matrimonio hanno chiesto allo sceriffo di arrestare la donna, e lui prudentemente ha rimesso il caso nelle mani dei giudici.
Non c’è possibilità che i riottosi inservienti del Kentucky finiscano con l’essere assolti dalla legge, per i quali sono discriminatori che violano il Quattordicesimo emendamento alla Costituzione, quello che prevede un’eguale protezione di tutti i cittadini di fronte alla legge, lo stesso introdotto da Lincoln per dare sostanza pratica all’abolizione teorica della schiavitù. Non c’è spazio per la loro libertà religiosa se non negli scantinati sigillati della mente e dell’anima. Tutte queste cose si sapevano, in termini teorici, almeno da quando è stata pronunciata la sentenza finale sul matrimonio gay. Per la verità l’Amministrazione Obama era stata piuttosto chiara quando aveva disposto l’obbligo per tutte le aziende di offrire accesso ai metodi contraccettivi nelle coperture assicurative dei dipendenti, inclusi quelli di università o ospedali cristiani, facendo capire chiaramente che la “libertà più apprezzata” si applica soltanto al culto, non alle sue conseguenze sociali. Quella decisione è stata contestata nei tribunali, ma la sentenza sul matrimonio gay ha portato la disputa sulla libertà religiosa a un piano pù alto.
[**Video_box_2**]L’uomo religioso può essere tale solo se la sua religiosità non disturba l’ordine secolarizzato, determinato dal potere di turno. La natura del caso del Kentucky è la medesima, ma è la prima volta dopo l’ondata giurisprudenziale contro la libertà religiosa che l’America è messa di fronte alle sue conseguenze concrete, e assiste in diretta alla scena di una donna cristiana che si rifiuta di violare il proprio credo nell’esercizio delle sue funzioni. Ha invocato l’autorità di Dio, certo, ma anche il Primo emendamento, il duplice pilastro americano che sorregge la libertà di espressione e la separazione fra stato e chiesa. E’ una scena particolarmente potente nella nazione edificata sulla pietra angolare della libertà individuale, rifugio di perseguitati religiosi che hanno trovato asilo in un paese che ha messo in pratica la convivenza tollerante secondo uno schema in apparenza alternativo a quello della secolarizzazione forzata e giacobineggiante dello spazio pubblico, in stile francese. Il Dio americano fa capolino ovunque nella liturgia della vita civile, ma è una divinità dai poteri limitati, che entra spesso in conflitto con l’ordine secolarizzato. Come nel caso del Kentucky.
Per ovviare a questo conflitto alcuni stati, ad esempio la North Carolina, hanno messo in piedi un sistema che salvaguarda l’obiezione di coscienza dei magistrati messi di fronte all’insanabile contraddizione di dover violare le proprie convinzioni nell’esercizio delle funzioni ordinarie. Un ragionevole accomodamento legale che tuttavia non risolve alla radice la questione della libertà religiosa in America così come l’aveva delineata Benedetto XVI nel suo discorso ai vescovi americani nel 2012: “Qui, ancora una volta, vediamo la necessità di un laicato cattolico impegnato, articolato e ben preparato, dotato di un senso critico forte dinanzi alla cultura dominante e del coraggio di contrastare un secolarismo riduttivo che vorrebbe delegittimare la partecipazione della Chiesa al dibattito pubblico sulle questioni che determineranno la futura società americana”. La parola chiave del passaggio non è secolarismo, ma “riduttivo”. L’ondata secolarista americana, notificata da giuristi e tribunali insindacabili, non si è abbattuta frontalmente sulle esperienze religiose, sradicandole in nome di altri princìpi e altri valori, ma più scaltramente ha provveduto a girare loro attorno, erodendo nel tempo il loro spazio di legittimità, togliendo respiro a ogni iniziativa che esce dall’innocuo business di accendere candele e bruciare incensi. I semi di questa evoluzione sono stati piantati tempo addietro, nell’humus fertile della modernità. Nel Kentucky si raccolgono i frutti.
Cose dai nostri schermi