Se a Bangkok si inzia a parlare (sul serio) di terrorismo
“La mia ipotesi è che si tratti di un’operazione in joint venture”. L’ipotesi di Anthony Davis, analista dell’agenzia HIS Jane’s (specializzata in affari militari e intelligence) è che l’attentato del 17 agosto a Bangkok sia stato organizzato da una gang di trafficanti di esseri umani legati ai terroristi uiguri. E’ un’ipotesi che, almeno per il momento, potrebbe mettere d’accordo un po’ tutti e, soprattutto, continua a trovare conferme.
Martedì mattina una task force della polizia thai ha arrestato un uomo che sembra essere il responsabile dell’attentato, forse lo stesso che indossava una maglietta gialla ripreso dalle telecamere di sorveglianza attorno al tempietto di Erawan, dove è esplosa la bomba. Come ha dichiarato il portavoce della polizia, il generale Prayuth Thawornsiri: “E’ sicuramente collegato al gruppo e credo sia la persona più importante”. Il giorno seguente Prawut ha annunciato che le impronte digitali dell’uomo corrispondono a quelle rilevate in uno degli appartamenti dove la settimana scorsa sono stati scoperti materiali per la preparazione di ordigni esplosivi simili a quello dell’attentato. Poche ore più tardi, l’uomo avrebbe confessato di trovarsi sulla scena dell’attentato prima dell’esplosione, negando però di aver piazzato la bomba.
Secondo i primi rapporti l’uomo è stato fermato nel villaggio di Pa Rai, circa 250 chilometri a est di Bangkok, al confine con la Cambogia, uno di quei punti che rendono le frontiere thai tanto permeabili (oltre il confine, la cittadina di Poipet è divenuta una sorta di Las Vegas cambogiana). Dell’uomo, per ora, si sa solo che è uno straniero. Secondo alcune fonti è stato identificato come Yusufu Mieraili, 26 anni, di nazionalità cinese, originario dello Xinjiang, la provincia della minoranza musulmana uigura che ha forti legami etnici con la Turchia e rivendica una forma di autonomia del territorio, ribattezzato Est Turkestan. Ciò confermerebbe la cosiddetta “pista uigura”, secondo cui l’attentato sarebbe una ritorsione contro il governo thai che nel luglio scorso ha rinviato in Cina un centinaio di rifugiati uiguri, esponendoli al rischio di carcere, torture o morte in nome dei rinnovati rapporti con Pechino. In seguito l’identificazione dell’uomo è stata smentita. Giovedì mattina, infine, è stata confermata ma lasciando un margine d’incertezza. “Dobbiamo ancora esaminare il passaporto”, ha infine dichiarato il portavoce della giunta militare.
Il susseguirsi di voci, fonti e tweet non controllabili, tuttavia, sembra comunque condurre alla pista uigura. Potrebbe essere turco anche il primo degli arrestati e in Turchia vive Wanna Suansan, nota col nome musulmano di Maisaroh, su cui è stato spiccato un mandato d’arresto. La donna ha fatto sapere che ha lasciato la Thailandia più di tre mesi fa, dichiarandosi “scioccata” delle accuse, ma secondo la polizia è lei che ha affittato il secondo covo degli attentatori e giovedì è stato emesso un madato di cattura anche per il marito. Il totale dei mandati sale a otto: sette uomini e una donna, tutti presumibilmente musulmani e tutti “stranieri” (a parte la donna e, pare, un altro sospettato): turchi o cinesi (dello Xinjiang). “Non è appropriato mettersi a puntualizzare sulla nazionalità di tutti”, ha dichiarato un altro generale.
A questo punto, però, anche il governo sembra dar credito alla pista uigura e lo stesso primo ministro ha dovuto ammettere che l’attentato possa essere riconducibile a un gruppo che forniva documenti falsi agli uiguri e organizzava per loro il passaggio verso la Malesia, punto di partenza per la Turchia. Gruppo criminale, non terrorista. Anzi, secondo le ultime correzioni, criminale con possibili collegamenti col terrorismo uiguro. Il governo, infatti, aveva ordinato a tutte le agenzie nazionali “di evitare l’uso di termini quali terrorismo o sabotaggio” per le inevitabili conseguenze che potrebbero avere sull’economia, specie sul turismo.
“Il terrorismo fa scappare i turisti”, avrebbe detto il generale Prayuth. Perciò era stato anche raccomandato di riferirsi all’episodio come “l’incidente di Ratchaprasong” (dal nome dell’incrocio di strade dove si è verificato), evitando il termine attentato. Già oggi, tuttavia, i maggiori quotidiani thai hanno menzionato il “terrorismo”, legittimati dalla dichiarazione della Crime Suppression Division secondo cui si starebbe indgando su “possibili collegamenti” tra gli “estremisti” uiguri (non più solo criminali, quindi) e l’attentato.
[**Video_box_2**]Tanta cautela è motivata dal fatto che la pista uigura, se considerata come un fenomeno terroristico, avrebbe un impatto che potrebbe mettere a rischio i già difficili rapporti internazionali della Thailandia. In particolare sarebbe un elemento di disturbo nei rapporti con la Cina: dopo il colpo di stato del maggio scorso, condannato dagli Stati Uniti, Pechino è divenuo il miglior amico della giunta militare. “Non credo che l’incidente abbia connessioni con la Cina. E poi si tratta di affari interni cinesi. Non ne parleremo priprio”, ha dichiarato ieri il ministro della Difesa e vice primo ministro genarale Prawit Wongsuwan, in partenza per Pechino per presenziare alla parata per commemorare la vittoria contro i giapponesi nella Seconda guerra mondiale. La presenza di Prawit e del suo vice, due dei più influenti generali della giunta, è l’ultimo segno dei forti rapporti bilaterali.
Questo “piccolo gioco” di equilibrismi diplomatici spiegherebbe anche i dubbi sul luogo dell’arresto di oggi. Alcune fonti, infatti, sostengono che sia avvenuto nell’aeroporto della capitale cambogiana Phnom Penh, dove l’uomo stava per imbarcarsi su un volo per la Turchia. Quindi sarebbe stato trasferito oltre confine e consegnato alla polizia thai, che però ribadisce che l’uomo è stato arrestato in territorio thai mentre stava per entrare in Cambogia. un ennesimo mistero si potrebbe spiegare con la volontà del governo di non creare imbarazzo a quello cambogiano: se il sospettato aveva davvero un passaporto cinese, infatti, si sarebbero potuti creare problemi di estradizione.
In un quadro tanto confuso da apparire di caos ordinato, intanto, si sta aprendo un’altra pista: quella dei Lupi Grigi, il gruppo di ultranazionalisti turchi di cui faceva parte Mehmet Ali Agca, l’autore dell’attentato a Papa Giovanni Paolo II nel maggio 1981. Ne ha parlato Anthony Davis in un dibattito al club dei corrispondenti esteri di Bangkok. Secondo l’analista di HIS Jane’s non è da escludere la possibilità che il “network”, come continua a essere definito il gruppo che ha organizzato “l’incidente di Ratchaprasong”, fosse in qualche modo collegato ai Lupi Grigi, inferociti per il rimpatrio in Cina degli uiguri. L’ipotesi è sostenuta anche dal dottor Murat Yurtbilir, del Centro di studi arabi e islamici della Australian National University. Yurtblir ricorda che molti dei Lupi Grigi finirono per affiliarsi alla mafia turca, mentre altri entrarono nelle milizie musulmane che combattevano in Cecenia o al fianco degli Azerbaigiani contro gli Armeni. Una possibile deriva asiatica, quindi, non è da escludere.
In ogni caso, secondo Davis, all’origine dell’attentato di Bangkok c’è un gruppo in cui si sovrappongono e confondono terrorismo e criminalità organizzata. Ecco perché la sua ipotesi potrebbe mettere tutti d’accordo: potrebbe essere quella “via di mezzo” predicata dal buddismo che i thai sembrano prediligere in ogni questione. Anche nelle indagini, almeno per ora, sembra funzionare. “A questo punto abbiamo risolto il caso al 70 per cento”, ha detto il vice capo della polizia Chakthip Chaijinda. Bisogna solo capire se le percentuali, oltre al chi e al come, comprendono anche il perché.