Chi è il lobbista musulmano più affascinante di Washington
Roma. Giovedì due giornalisti dell’Huffington Post americano, Ryam Grim e Akbar Shahid Ahmed, hanno pubblicato un ritratto lungo di Yousef al Otaiba, un diplomatico di 41 anni degli Emirati Arabi Uniti che ha influenza enorme sulla vita politica della capitale americana. Al Otaiba, che dal 2008 è ambasciatore, è definito “l’uomo più affascinante di Washington”: “La sua città”, come dice il titolo del pezzo, per la sua capacità di tessere una trama infinita di relazioni a tutti i livelli. E’ probabile che la decisione degli Emirati Arabi Uniti di investire cifre di denaro enormi nelle pubbliche relazioni e nel lobbying a Washington (più di quattordici milioni di dollari nel 2013, ultimo dato disponibile), dia una mano a Otaiba nel suo lavoro. Agli inizi, sei anni fa, pare che l’ambasciatore avesse deciso una personale strategia del presenzialismo e dell’ubiquità agli incontri mondani e alle occasioni per socializzare: “Se anche soltanto si apriva una busta, lui era presente”, dice una fonte che lo conosce, e del resto, ormai, chi non.
L’arabo ha vissuto, studiato e frequentato così a lungo l’America e gli americani che oggi è scambiato per un cittadino di Washington. Il paragone che circola è con Bandar bin Sultan, che fu ambasciatore saudita per vent’anni nella capitale americana e divenne così intimo della dinastia Bush da essere considerato uno di famiglia – fu senz’altro lui il pilastro dell’alleanza ormai declinata tra Riad e la Casa Bianca. Otaiba aggiunge un tocco personale, ti fa sentire parte di un circolo, di una fratellanza, almeno così dicono le fonti dell’articolo. Nei corridoi del dipartimento di stato lo chiamano “Brotaiba”, crasi di brotherhood e del cognome. Cene private con il gotha politico e dei media, e in casa “la televisione più grande del mondo” per dare un’occhiata informale e casalinga alle partite di basket. Prende appuntamenti alla caffetteria della sua palestra (la Equinox dell’albergo Ritz Carlton). Musulmano, ma accoglie gli ospiti con un brindisi. Sponsorizza party spettacolari, come quello per la ricerca contro il cancro a New York con Beyonce, Alicia Keys e Ludacris.
A primavera ha raccolto gli invitati del Children’s Ball 2014 al Ritz Carlton assieme al direttore di Fox News e un veterano della mondanità ricorda: “Uno degli eventi di gala più pazzi ed esagerati a cui io sia mai stato”. C’erano anche il consigliere per la Sicurezza nazionale, Susan Rice, e alcuni grandi contractor della Difesa come Raytheon, Lockheed Martin e Northrop Grumman – che hanno contratti importanti con gli Emirati Arabi Uniti. Totale raccolto in beneficenza: quasi 11 milioni di dollari. “L’altra ragione per cui la gente va a queste feste – oltre la filantropia e per farsi vedere e bla bla bla – è che nel salone del Children’s Ball puoi incontrare tutti i senatori e i politici del mondo, e ogni funzionario della Casa Bianca è lì, e puoi fare conversazione. E’ una cosa che non potresti ottenere in altro modo”, dice un’altra fonte che c’era.
[**Video_box_2**]Il lato pop e festaiolo di Otaiba, che è apparso sulla copertina della rivista Washington Life a braccetto con la bella moglie egiziana, copre un lato più operativo. Prima di diventare ambasciatore Otaiba è stato consulente militare, durante la guerra americana in Iraq ebbe un ruolo nel far approvare dagli stati del Golfo il piano di aumento delle truppe passato alla storia come “surge”. Ha contatti estesi nell’establishment della sicurezza americana. E’ stato lui a far circolare, l’anno scorso, le foto della donna pilota di F-16 che decollava per bombardare le postazioni dello Stato islamico, e – secondo i due giornalisti – sta ora premendo per una linea più aggressiva degli Stati Uniti in medio oriente. Due grandi preoccupazioni: l’islam politico, specialmente i Fratelli musulmani, e l’Iran. In questo momento Otaiba sta gestendo la collaborazione discreta tra Emirati e America nella guerra in Yemen. Ha anche un altro obiettivo: far saltare la sedia del siriano Bashar el Assad.
Dalle piazze ai palazzi
Gli attacchi di Amsterdam trascinano i Paesi Bassi alla crisi di governo
Nella soffitta di Anne Frank