Sorpresa! Adesso anche i francesi non vogliono più le 35 ore
Parigi. Quello di ieri non è stato un dolce risveglio per la gauche francese. Difficile immaginare che il caffè non sia andato di traverso quando i socialisti si sono confrontati con la prima pagina del quotidiano economico Echos che ha titolato: “35 ore: i francesi pronti a una vera riforma”. Ma come è possibile – si saranno chiesti – i francesi la pensano come il ministro dell’Economia Emmanuel Macron? Proprio così, stando a quanto emerso da un sondaggio Csa realizzato per Echos, Radio Classique e l’Institut Montaigne (il think thank liberale vicino alle posizioni di Macron e del Medef, la Confindustria francese, che spera di veder applicate le sue proposte sulla riforma del mercato del lavoro). Il 71 per cento dei francesi ha dichiarato di essere favorevole a che le imprese possano “stabilire liberamente la durata del lavoro attraverso una contrattazione con i loro dipendenti”. Che tradotto significa che sette francesi su dieci sono pronti a rinunciare alle 35 ore, il grande totem della gauche, l’intoccabile vestigia della fine degli anni Novanta forgiata dal governo socialista di Lionel Jospin.
Il dato più difficile da digerire per i sostenitori intransigenti delle 35 ore, quelli che danno di matto ogni volta che un politico osa metterle in discussione (come ha fatto Macron la scorsa settimana all’Università estiva del Medef), è che i francesi convinti che sia giunta l’ora di mandarle in pensione provengono da ogni frangia politica. L’83 per cento dei militanti di destra giudica necessario lasciare alla libera contrattazione tra datori di lavoro e dipendenti la scelta su quante ore lavorare, ma è da sinistra che arrivano le percentuali più sorprendenti: il 69 per cento dei militanti del Ps è d’accordo con l’abolizione della settimana breve e quindi con una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, e con loro anche il 49 per cento dei simpatizzanti del Front de gauche, la sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon. Dei risultati che contrastano con le posizioni dei leader delle rispettive formazioni politiche (né destra, né sinistra hanno mai osato toccare le 35 ore), che devono far riflettere il premier Valls, il quale attende a giorni i risultati del rapporto sulla riforma del Codice del lavoro commissionato a Jean-Denis Combrexelle, ma che rafforzano la posizione di Macron.
I neogiacobini, ora, gli hanno pure trovato un nuovo soprannome, “Monsieur 49 di febbre”, in riferimento al suo iperattivismo e al suo ricorso per tre volte consecutive all’articolo 49.3, la “superfiducia” tramite la quale ha bypassato giorni di chiacchiere e querelle e fatto approvare in estate la maxi legge sulle liberalizzazioni che porta il suo nome. Alcuni suo colleghi a Bercy, come riporta Echos, trovano “estenuante” la sua “tendenza a considerarsi ministro di tutto” e la sua “volontà di deregolamentare tutti i sistemi esistenti”. “Ha letto troppo d’Artagnan”, si lamenta un tenore del governo socialista in forma anonima. “Il suo fare da cowboy solitario può trovare dei limiti”, si lascia sfuggire un altro.
Ma il giovane inquilino di Bercy continua a trovare appoggio nell’opinione pubblica francese. Secondo un altro sondaggio Csa per Echos e Radio Classique, Macron ha guadagnato nell’ultimo mese cinque punti percentuali in termini di popolarità: il 44 per cento di francesi ha attualmente “un’immagine piuttosto positiva” del ministro dell’Economia. Il che lo lancia al secondo posto delle personalità politiche più gradite, dietro Alain Juppé dei Républicains, ma addirittura al primo posto tra i politici di sinistra, davanti al ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve, a Martine Aubry, colei che da ministro del Lavoro nel 1998 fece varare la legge sulle 35 ore, e all’ex candidata alle presidenziali Ségolène Royal. Secondo Julie Gaillot, esperta di sondaggi presso Csa, Macron “è il grande vincitore del dibattito sulla durata legale del lavoro consumatosi la scorsa settimana”. Pochi giorni prima dell’Università estiva del Ps a La Rochelle, al quale non era stato invitato, il giovane ministro si era presentato al raduno agostano del Medef, la Confindustria francese, e dinanzi al “patron des patrons”, Pierre Gattaz, e al gotha degli imprenditori francesi, aveva bastonato le “false idee” della gauche, che ha creduto che la “Francia potesse andare meglio lavorando meno”, con un bersaglio preciso: le 35 ore. Panico nel Ps, panico tra i sindacati. Valls, dalla Costa atlantica, si era sentito in dovere di tirargli le orecchie a distanza e chiedere al suo ministro di pesare meglio le parole (anche se in fondo il premier già nel 2011, quando Macron lavorava ancora per Rothschild, aveva definito necessario “sbloccare” le 35 ore).
Chi odia e chi ama il ministro “neoliberista”
Ciononostante, mentre a La Rochelle andava in scena il processo in contumacia al “neoliberista” Macron, nel resto della Francia prendeva forma il consenso ideologico intorno al ministro dell’Economia, alla sua figura e alle sue battaglie, che il sondaggio di Echos ha evidenziato. Secondo un ministro, se la barra della popolarità registra un aumento alla voce Macron, è perché il titolare dell’Economia incarna una forma di freschezza dinanzi a una sinistra “nervosa”. Piace perché è giovane, pragmatico, ha una linea chiara, coerente, pienamente rivendicata, e ha un profilo diverso rispetto all’apparato del Partito socialista. “Macron costruisce la sua immagine indirizzandosi all’opinione pubblica”, ha scritto ieri Echos. “Alle spalle di una famiglia politica alla quale non appartiene”, aggiunge perfido un altro ministro. Che, come la quasi totalità dell’esecutivo e del Ps, vede di cattivo occhio il “riformismo sorridente” – così lo chiamano – di Macron. Un mélange, quello di riforme e sorrisi, che invece piace assai ai francesi di destra come di sinistra.