La coalizione russo-siriana
Obama assiste impotente ai boots on the ground di Putin & Co. contro lo Stato islamico
New York. La telefonata con cui John Kerry ha rimproverato, non si sa con quanta convinzione, Sergei Lavrov per i movimenti di armi, merci, soldati e infrastrutture in Siria è il segnale che Washington ha preso ufficialmente atto della coalizione a trazione russa che si sta muovendo nell’area, non nel remoto cielo degli strike ma sul terreno, dove le guerre si combattono sul serio. La coalizione di Vladimir Putin e del presidente siriano Bashar el Assad, attivamente sostenuta dall’Iran e da Hezbollah, riempie il vuoto lasciato dall’America e dall’occidente negli anni in cui hanno aggredito Assad con lettere molto dure e anodine dichiarazioni d’indignazione, e nel frattempo si sono trovati con lo Stato islamico che superava il macellaio di Damasco nella gerarchia dei nemici da sconfiggere. Le linee rosse tracciate da Obama sono diventate oggetto di derisione globale, così come il vuoto ritornello “Assad must go”, ripetuto così tante volte da svuotarsi automaticamente di ogni significato politico.
Nella balbettante trama occidentale, condita da attacchi aerei efficaci fino a un certo punto, s’è inserita come al solito la Russia di Putin, che consolida la sua posizione militare nell’area mentre si rivende come antagonista credibile del Califfato. L’asse del male minore contro l’asse del male assoluto: questo è l’amaro calice che Putin presenta sul tavolo dell’occidente. La cosa mette gli Stati Uniti in una “posizione molto imbarazzante”, dice al Foglio Brian Katulis, analista del Center for American Progress, il più obamiano dei think tank di Washington. “Questa situazione è l’esito del fallimento americano nel creare una terza via fra Assad e lo Stato islamico. L’idea, in linea di principio, c’era, ma non c’è stata la forza né la visione strategica per metterla in pratica, e così ci ritroviamo a poter soltanto bombardare dall’alto, cosa che ha effetti limitati”, spiega Katulis.
I funzionari americani confermano che almeno due mezzi anfibi russi hanno scaricato materiale militare nel porto siriano di Tartus, e i satelliti hanno individuato sul territorio siriano un centinaio di uomini delle forze speciali e decine di mezzi di terra.
Almeno tre Condor russi hanno portato in Siria materiali per costruzioni e strumenti per il controllo di voli aerei, trasporti avvenuti con l’attiva collaborazione di Teheran. Sono manovre consistenti, ma Katulis invita a “non esagerare la portata dell’azione russa”, dato che “al momento l’influenza delle manovre di Mosca, a livello strutturale, è limitata ad alcune aree del paese”. Tutto questo significa che l’America dovrà in qualche misura accettare una convergenza con la coalizione dei volenterosi russo-siro-iraniani per combattere il nemico supremo, lo Stato islamico? Katulis non vede “nessuna indicazione che la politica di Washington si stia muovendo in questa direzione”, ma ammette che “un’alternativa, in questo momento, non esiste”.
La controcoalizione formata dall’occidente riluttante e dai paesi del Golfo che rifiutano di prendersi la responsabilità dei boots on the ground è bloccata, “e non c’è motivo di pensare che la prospettiva cambi nel breve periodo”, dice Katulis. Anche P. J. Crowley, professore alla George Washington University e già portavoce del dipartimento di stato durante i primi anni dell’Amministrazione Obama, dice al Foglio che “un’opzione praticabile per intervenire senza tradire i princìpi fissati a Ginevra non c’è” e riflette la posizione prevalente fra gli strateghi della Casa Bianca quando spiega che “non sappiamo fino a che punto l’azione della Russia in questo momento sia determinante nello scenario”.
[**Video_box_2**]Di certo Assad “non sarebbe potuto sopravvivere politicamente fin qui senza l’appoggio di Russia e Iran, ma l’effettiva portata delle manovre di Putin non è misurabile. In questi casi la tendenza è sempre quella di esagerare la minaccia”. Mosca non è soltanto il fornitore militare della coalizione, ma anche il broker diplomatico con cui Assad gioca di sponda per irridere l’occidente: “Ora i russi dicono che Assad potrebbe essere disponibile a discutere una qualche opzione elettorale. Quando l’ha proposto Washington nel 2011 l’offerta è stata rigettata con disprezzo. Questo soltanto per dire che la Russia ha anche un ruolo strategico e diplomatico forte”.
Il vero errore dell’America, conclude Crowley, è stato quello di “mostrarsi debole quando aveva l’opportunità di aiutare l’opposizione siriana a presentarsi come un’alternativa credibile. La responsabilità di questa crisi è in ultima analisi di Assad, ma noi abbiamo fatto poco, e lui è stato scaltro nel frammentare il fronte dei suoi oppositori. Così facendo ha tolto all’America l’unica possibilità di agire efficacemente senza implicarsi direttamente in una guerra”.
Mattia Ferraresi