Le unghie e i denti dei sindacati
Milano. Quando domenica sera ha iniziato a circolare il nome di John McDonnell come cancelliere dello Scacchiere ombra del Labour britannico neodiretto da Jeremy Corbyn, il parlamentare laburista in diretta sulla Bbc – ignaro – è quasi scoppiato a ridere, pensava si trattasse di uno scherzo. Poi si è ricomposto guardando il conduttore serio, e ha chiesto: ma è vero? Mentre il volto del poveretto passava dall’ironia al terrore, McDonnell, che fino a quel momento era stato il capo della campagna per la leadership di Corbyn, un amico e uno stratega, stava parlando al meeting del Tuc, il congresso dei sindacati a Brighton. Assieme a lui c’era Yanis Varoufakis, l’ex ministro delle Finanze greco, oggi guru globetrotter della sinistra radicale, anti austerità, anti sistema, anti Europa che ha messo gli occhi sul Regno Unito come ultima e golosa frontiera della sua offensiva. McDonnell si scherniva, non sono il Varoufakis inglese, “non potrei mai essere così cool”, e sulla rete iniziavano a circolare le sue frasi celebri, le sue ossessioni, tipo quella volta che disse che avrebbe voluto ammazzare la Thatcher (si è poi scusato dicendo che era uno scherzo), o quell’altra in cui difese i metodi violenti dell’Ira, o quella in cui celebrò l’hobby di “far fermentare la caduta del capitalismo”.
McDonnell ha lanciato l’idea di un nuovo governo ombra rivoluzionario, in cui tutti devono fare la propria parte, soprattutto i sindacati, troppo a lungo estromessi dal dibattito pubblico e unici garanti della sopravvivenza della working class. Puntuale lunedì mattina il sindacalista più potente del Regno, Len McCluskey, ha scritto sul Guardian che la lagna dei riformatori è insostenibile, il blairismo è morto e sepolto, se ne facessero una ragione – e no, questi non sono gli anni Ottanta, non si ridiventa come si era per fare la fine misera di quel Labour là: ora i giovani chiedono al partito un nuovo modo di fare politica. E lo avranno, dice “Red Len”, a cominciare dalla piazza. Come hanno detto i leader sindacali dal loro incontro a Brighton, godendosi una nuova attenzione dei media (assieme a tante testate socialiste), “il messaggio deve essere chiaro: Cameron, siamo qui per farti cadere. Tu, le tue leggi antisindacali, i tuoi tagli, finirete tutti, perché noi ci mobiliteremo contro di voi”.
Tutto quel che in Parlamento il Labour non può fare – perché non ha i numeri, perché ha appena perso malamente alle elezioni, perché il prossimo voto è previsto tra cinque anni, la strada è lunghissima per il corbynismo anche se a leggere i fan giubilanti pare che Corbyn sia già il premier inglese – proverà a farlo nelle piazze, scatenando quello che i media lunedì chiamavano “la rivolta dei sindacati”, la contestazione come arma politica. La dichiarazione d’amore di Corbyn, che alla fine degli anni Settanta lavorò per un po’ di tempo nel sindacato, è suonata immediata e assoluta – “Il Labour e i sindacati rimarranno uniti per sempre”: nemmeno Ed Miliband, figlio del voto dei sindacati, era riuscito a essere mai del tutto rassicurante.
La battaglia sta già per iniziare. Il governo conservatore di David Cameron deve riferire nel dettaglio come si attueranno i tagli previsti dall’ultimo Budget, e se finora c’è stato un certo dialogo con l’opposizione, i toni sono del tutto cambiati. I ministri cameroniani non fanno che ripetere che l’elezione di Corbyn è pericolosa per il paese, e se molti sostengono che invece i Tory non possono che guadagnarci da un’opposizione tanto lunare, la piazza piena è uno degli spettri che il governo teme di più. Non che per questo Cameron e i suoi decideranno di cambiare strategia – se c’è una cosa di cui sono certi è che l’austerità li ha salvati e li ha fatti tornare al potere con un mandato che i Tory si sognavano da decenni – ma per l’immagine del governo e per mantenere i ritmi di riforma previsti, la contestazione diventa un guaio.
[**Video_box_2**]Fiutando l’aria, lunedì Boris Johnson, il sindaco di Londra che vorrebbe resuscitarla, la Thatcher, ha rilanciato: l’ironia è finita, Corbyn è davvero il leader dell’opposizione di Sua Maestà – ha scritto Johnson sul Telegraph – e se vuole mostrare di essere davvero dalla parte dei lavoratori, deve schierare il Labour a favore del Trade Union Bill, la legge che il governo vuole introdurre per regolare gli scioperi, e che secondo il sindaco di Londra dà voce anche a tutti i sindacalisti moderati che vogliono sì essere ascoltati ma non vogliono essere la causa di troppi disagi per gli altri lavoratori. Dalle parti di Corbyn devono essersi fatti una bella risata a leggere Johnson (ammesso che l’abbiano letto), perché è proprio dal Trade Union Bill che parte l’offensiva dei sindacati. Lunedì è iniziata il dibattito in Parlamento della legge, e già dal congresso di Brighton si è alzato lo slogan “il Trade Union Bill è il più feroce attacco ai sindacati degli ultimi trent’anni”, mentre vari leader dei sindacati dicevano che avrebbero combattuto “con le unghie e con i denti” contro la legge.
Il test non vale soltanto come prova di potere, ma anche per capire che genere di sussistenza economica il Labour si vuole garantire. Mentre i principali contribuenti del partito hanno già fatto sapere di non voler più dare fondi al Labour radicalizzato, alla City, che già era stata traumatizzata da Ed Miliband (che ora pare un moderato riformatore, al confronto), c’è grande preoccupazione: si rischia un rallentamento delle riforme, una destabilizzazione di piazza, e anche se i Tory sono forti e determinati, gli investitori sono capricciosi, e non vogliono troppi rischi.