Il ritorno di Kim Davis dopo la “grande svolta ideologica”
New York. Ieri mattina Kim Davis è tornata alla scrivania. L’inserviente di un ufficio amministrativo della contea di Rowan, nel Kentucky, che si è rifiutata di firmare certificati di matrimonio per coppie gay in nome delle sue convinzioni religiose, è stata scarcerata la settimana scorsa, ma in quanto titolare di una carica elettiva non può essere licenziata se non tramite una procedura d’impeachment che spetta all’assemblea legislativa dello stato. I giudici avevano temporaneamente inibito la sua posizione facendo leva sul reato di resistenza agli ordini del tribunale, dopo che la Corte suprema ha respinto il suo ricorso alla sentenza che ha reso il matrimonio gay un diritto costituzionale, ma non avevano elementi per sollevarla dall’incarico. E dato che nel periodo di assenza forzata l’ufficio ha dato alle coppie gay i documenti che volevano, non è semplice formulare un’imputazione solida. Così Davis è tornata al suo posto, e ha detto che continuerà a non mettere la sua firma sui certificati di matrimonio per gay: “Fino al momento in cui un compromesso non sarà autorizzato da chi ha l’autorità necessaria, tutte le licenze matrimoniali emesse dal mio ufficio non saranno autorizzate da me”, ha spiegato ai giornalisti, reiterando che il suo scopo non è impedire che gli omosessuali ottengano i certificati di matrimonio, ma evitare di dover tradire la propria fede. Dunque Davis non contribuirà alla pratica che disapprova, ma allo stesso tempo non ostacolerà né si rivarrà in alcun modo sui suoi sottoposti che decideranno di emettere certificati di matrimonio a coppie omosessuali.
“Posso capire se i miei colleghi decideranno di emettere licenze non autorizzate da me per evitare il carcere”, ha spiegato. A eccezione di uno soltanto, il figlio di Davis, tutti i “deputy”, gli immediati sottoposti dell’inserviente, hanno confermato che provvederanno alle coppie omosessuali che lo richiedono il certificato, anche senza l’approvazione del superiore, situazione che apre una disputa attorno alla validità legale dei documenti. Davis ha “grossi dubbi” sul fatto che un certificato non firmato dal titolare dell’ufficio sia valido, ma i legali delle coppie che hanno presentato ricorso sono certi che la loro validità verrà alla fine confermata. Per il momento sui documenti verrà specificato che sono condizionati dal vaglio di un’autorità federale, poi si vedrà. Ma questi sono tutto sommato cavilli, questioni di lana caprina.
Il cuore della faccenda è che Davis chiede un accomodamento, un compromesso che le permetta di non mettere una firma contro la propria fede e al tempo stesso tuteli il diritto degli omosessuali di sposarsi: “Non siamo un paese abbastanza grande, abbastanza tollerante da trovare un modo per tutelare le mie convinzioni religiose?”, ha retoricamente chiesto Davis nella conferenza stampa improvvisata davanti al suo ufficio. Fra i più appassionati avvocati di un compromesso fra la libertà religiosa e l’interpretazione costituzionale della Corte suprema in fatto di matrimonio c’è Ryan Anderson, giovane analista della Heritage Foundation e autore del libro “Truth Overruled: The Future of Marriage and Religious Freedom”.
Anderson dice al Foglio che “la tradizione liberale americana, almeno nelle sua forma originale, ha sempre favorito soluzioni di buon senso per risolvere i conflitti fra le leggi e la coscienza degli individui, specialmente nei casi in cui le posizioni sono motivate da convinzioni religiose. Quando esiste la possibilità di risolvere la disputa senza ledere le parti in causa l’America ha sempre preferito un compromesso, e in questo caso la possibilità esiste eccome. Davis non chiede un rovesciamento della sentenza sul matrimonio gay, semplicemente non vuole apporre la sua firma sui documenti che lo certificano, basterebbe adottare un sistema di tutele dell’obiezione di coscienza, cose che la North Carolina, ad esempio, ha già fatto”.
[**Video_box_2**]Il tradimento del sistema americano
Se è così semplice, perché in Kentucky nessuno parla di un’alternativa analoga? “Perché un gruppo di attivisti – dice Anderson – sta approfittando del vento favorevole per completare in modo ideologico la vittoria del matrimonio omosessuale. E’ un gruppo intollerante verso le differenze, e ora che ha la legge dalla sua parte la usa per marginalizzare i dissidenti che vogliono un compromesso. L’obiettivo finale è eliminare dagli incarichi pubblici tutti quelli che si rifiutano di conformarsi al mainstream ideologico, oppure costringerli a una forma di abiura. Per chi resiste c’è il carcere, e giudico particolarmente significativo il ricorso a una punizione eccessiva e non necessaria nei confronti di Davis. Ma la tradizione americana non ha mai voluto opporre in modo ideologico le leggi alle preferenze dei singoli, è un sistema fatto di aggiustamenti e di accordi, e i padri fondatori sapevano bene che non era tutto bianco e nero. Quello che vediamo in Kentucky non è solo un attacco alla fede di una persona, è un tradimento del sistema americano”, spiega Anderson.
Si tratta di una “grande svolta ideologica” in seno al pensiero liberale, dove “l’ideale dell’armonia della società è stato via via sostituito dall’osservanza inflessibile della legge, che non necessariamente conduce alla giustizia. Anzi, la legge può diventare uno strumento nelle mani di chi detiene il potere per dettare la linea culturale”. Gli ideologi, spiega Anderson, non sono mai duttili, e il caso di Kim Davis “è la frontiera in cui assistiamo alla foga con cui vogliono eliminare la libertà religiosa, delegittimandola e rendendo i suoi argomenti vacui nel dibattito pubblico. Ma Davis non vuole affatto guidare una controrivoluzione. Non è una minaccia per gli attivisti gay, né sta facendo qualcosa per impedire loro di ottenere certificati di matrimonio. Perché, nota bene, quando è stata messa in carcere il suo ufficio ha continuato ad emettere licenze matrimoniali anche senza la sua firma. E’ un conflitto ideologico, non legale, e lo dimostra il fatto che gli attivisti che gridano allo scandalo non sono disposti a a un compromesso che sarebbe semplice da trovare”.
L'editoriale dell'elefantino