Nel cielo di Damasco
Roma. Da questa settimana Israele perde la possibilità di intervenire con gli aerei in Siria a causa della costruzione in tempi rapidissimi di una base aerea militare russa vicino alla città di Latakia, sulla costa del paese (e ce ne saranno altre). Gli aerei israeliani hanno fatto almeno 11 raid in Siria a partire dal 30 gennaio 2013 per intercettare convogli militari che trasportavano armi sofisticate verso gli arsenali del movimento Hezbollah in Libano, o per colpire i depositi dove erano tenute. Hezbollah è un gruppo che ha tra i suoi obiettivi anche uno stato di guerra permanente contro Israele – conosciuto come la muqawama, in arabo “la resistenza”.
Questi bombardamenti non sono stati mai riconosciuti in via ufficiale dal governo di Israele, che dichiara di seguire una linea politica neutra nella guerra civile siriana, ed è probabile che il numero di operazioni sia più alto. Pur senza prendere posizione, i militari israeliani intervengono in Siria per contenere il ruolo dell’Iran, che sta sfruttando la condizione di emergenza del paese per espandere la propria presenza e rafforzare l’alleato Hezbollah. A gennaio un drone israeliano uccise un generale iraniano in visita sul Golan a pochi chilometri dal confine – aveva dimenticato di disattivare il telefono cellulare che portava in tasca e questo tradì la sua presenza. Questo tipo di operazioni ora porterebbe Israele in rotta di collisione (potenzialmente) con la Russia, un’eventualità a cui il governo non è per nulla interessato come traspare dalle dichiarazioni anodine sull’escalation russa rilasciate in ordine sparso sulla stampa, che suonano così: “Non è un problema, non è contro di noi. La Russia dovrebbe però coordinarsi con gli americani”.
Secondo una fonte anonima del governo israeliano che si occupa di sicurezza ed è citata dal quotidiano Yedioth Ahronoth, l’Iran sta inviando centinaia di militari delle Forze speciali in Siria per operare assieme ai fanti di marina russi che stanno arrivando in questi giorni. Il giornale israeliano ha dato per primo la notizia che c’era un incremento di forze russe in Siria grazie alle sue fonti e quindi per ora mantiene una patente di credibilità sulla questione. Questa collaborazione militare tra Teheran e Mosca in Siria è dovuta, secondo la fonte, alla crisi dell’esercito del presidente Bashar el Assad (che invece è di dominio pubblico), ed è stata decisa a fine luglio durante un incontro segreto tra il presidente russo Vladimir Putin e il generale iraniano Qassem Suleimani, comandante della Forza Quds, una divisione delle Guardie rivoluzionarie che si occupa delle operazioni speciali all’estero. Gli uomini della Forza Quds lavorano anche in altre aree del medio oriente con un ruolo indefinito tra lo spionaggio, l’addestramento delle forze alleate locali e i combattimenti in prima linea. Per quanto riguarda i russi, è tradizione delle forze speciali Spetsnaz operare all’estero indossando l’uniforme dei fanti di marina. E’ plausibile che Mosca abbia mandato in Siria anche reparti non convenzionali, a coordinarsi con le forze speciali delle Guardie rivoluzionarie in uno dei teatri di guerra più complicati del mondo.
Ieri il giornale libanese as Safir ha dato la notizia che il generale iraniano Qassem Suleimani è stato di nuovo a Mosca la settimana scorsa, per la seconda volta in meno di due mesi. Suleimani è su una lista di persone colpite da sanzioni internazionali, in teoria non potrebbe viaggiare e la notizia della sua prima visita a Mosca era uscita con un mese di ritardo per poi essere infine confermata al New York Times da due fonti confidenziali del governo americano – in un articolo pubblicato due giorni fa. Si tratta di quel genere di incontri in cui gli interlocutori prendono decisioni strategiche con conseguenze a lungo termine.
[**Video_box_2**]Il generale iraniano è il volto clandestino dell’appoggio esterno a Bashar el Assad. E’ stato l’ideatore di un piano antinsurrezione per soccorrere il governo siriano che porta il suo nome, “piano Suleimani”, e ha cominciato a entrare a regime nel 2013. Secondo le sue direttive, l’esercito ormai malridotto è stato rimpiazzato in molte aree da milizie locali di volontari che sono più determinati a difendersi dagli attacchi – ma che non combatterebbero per altre città. I soldati regolari sono ora attestati a difendere posizioni più importanti e meno generiche. Inoltre il governo sta importando miliziani di fede sciita dall’estero, in particolare da Iraq e Afghanistan, per colmare i vuoti lasciati dalle perdite e dalle diserzioni – sempre seguendo le direttive del generale iraniano.
Putin è il volto pubblico di questo appoggio esterno. Ieri in conferenza stampa ha detto che “è ovvio che senza un ruolo attivo delle autorità siriane e dei militari, senza l’esercito siriano che combatte lo Stato islamico sul campo è impossibile cacciare i terroristi da quel paese e da tutta quella regione. Appoggiamo il governo siriano e forniremo l’aiuto militare necessario”. Ha anche aggiunto: “Se la Russia non avesse appoggiato la Siria, la situazione in quel paese sarebbe peggio che in Libia” – una annotazione che suona bizzarra se si considera che sotto tutti i punti di vista la situazione è peggiore in Siria che in Libia, ma che è anche un messaggio all’occidente, che nel 2011 chiese alla Russia il via libera per una missione stabilizzatrice e umanitaria della Nato in Libia e poi continuò fino alla morte del rais Muammar Gheddafi. Di certo, i primi avversari di russi e iraniani in Siria non saranno soltanto gli uomini dello Stato islamico, e non solo per ragioni geografiche, ma di altre fazioni ampie che minacciano Assad più da vicino (i nomi: Jaysh al Islam e Jaysh al Fath). In questo quadro, l’America ha una voce flebile e i suoi tentativi di bloccare i cargo russi che portano materiale bellico in Siria sono stati ignorati.