Colpo di stato in Burkina Faso: nuovi golpisti cacciano i vecchi
Erano le 12 di mercoledì, quando in Burkina Faso i soldati del Reggimento di Sicurezza Presidenziale (Rsp) hanno fatto irruzione nei locali dove si stava tenendo il Consiglio dei Ministri, togliendo il cellulare ai presenti e arrestandone quattro: il presidente transitorio Mochel Kafando, il primo ministro, tenente colonnello Yacouba Isaac Zida, e altri due ministri, tutti portati in un accampamento militare lì vicino. Nelle strade della capitale Ouagadougou sono risuonati gli spari. I militari hanno aperto il fuoco per disperdere la folla che aveva iniziato prontamente a protestare contro il colpo di stato.
Sarebbero almeno 10 i manifestanti rimasti uccisi negli scontri delle ultime ore dopo che la tv pubblica ha annunciato, tramite un messaggio di un alto ufficiale, che il potere era stato preso dal Consiglio Nazionale per la Democrazia. Il regime a interim, ha spiegato, “si era progressivamente allontanato dall’obiettivo di costruire una democrazia consensuale”. Motivo: dalle elezioni, in agenda per il prossimo 11 ottobre, erano stati esclusi vari candidati vicini all’ex-presidente Blaise Campaoré, e altri seguaci dello stesso Campaoré erano stati sottoposti a persecuzioni. “La legge elettorale ha creato divisione e una grande frustrazione in seno al popolo, creando due classi di cittadini”, spiega il comunicato dei golpisti. “La democrazia è il diritto di ogni cittadino di essere elettore e eleggibile”.
Si è saputo soltanto in seguito che alla guida del paese si è insediato il generale Gilbert Diendéré, ex-capo di Stato maggiore e braccio destro di Blaise Campaoré. I vertici politici spodestati dal Consiglio nazionale per la democrazia hanno così spodestato il governo ad interim guidato dal diplomatico Kafando e dal tenente colonnello Dida che aveva preso il potere proprio in seguito alle dimissioni e alla fuga in Costa d’Avorio di Campaoré il 31 ottobre 2014.
Quasi un anno fa infatti quattro giorni di proteste di massa per le strade della capitale, con una trentina di morti e un centinaio di feriti avevano posto fine a 27 anni di potere, e soprattutto al progetto di cambiare la Costituzione per potersi ricandidare nel 2015 una quinta volta.
Hollande, presidente di quella Francia di cui il Burkina Faso è un’ex-colonia, aveva allora ammesso di aver aiutato Campaoré a mettersi in salvo, e a quanto si è saputo gli aveva offerto anche un “impiego” per evitare una guerra civile.
Personaggio imbarazzante Campaoré, dalla reputazione democratica molto dubbia. Era andato al potere nel golpe in cui era stato ucciso Thomas Sankara, aveva anche trafficato con vari signori della guerra durante le guerre civili che hanno imperversato in tempi recenti in Africa Occidentale. Però aveva anche offerto basi importanti per l’intervento francese e statunitense in Mali, e in altri contesti aveva esercitato apprezzati ruoli da mediatore.
Adesso, però, Hollande protesta: come d’altronde tutte le istituzioni internazionali. E tutto ciò, il golpe in nome della democrazia contro golpisti che volevano portare la democrazia, l’irruzione col sequestro di telefonini, le giravolte di Hollande, danno agli eventi del Burkina Faso un tono grottesco che evoca più “Il dittatore dello stato Libero di Bananas” di Woody Allen o “Il dittatore” di Sacha Baron Cohen, piuttosto che non le fosche immagini di Santiago l’11 settembre del 1973 al tempo del golpe di Pinochet, che nell’immaginario collettivo sono un po’ la quintessenza iconica del golpe