Gli emiri del Qatar versano milioni per far studiare i rifugiati alla Sorbona
Parigi. François, il professore di letteratura nichilista e dalla vita amorosa sregolata protagonista dell’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, “Sottomissione”, è costretto a convertirsi all’islam per proseguire la sua carriera universitaria alla Sorbona, che da quando all’Eliseo siede Mohammed Ben Abbes, leader della Fratellanza musulmana, si è trasformata in un’università islamica il cui rettore, Robert Rediger, è un fervente musulmano. Di origine islamica è anche il finanziamento: la Sorbona, infatti, è sovvenzionata dalla petromonarchia saudita, che non bada tanto alle spese, pagando profumatamente i professori universitari ubbidienti alla nuove norme vigenti in Francia. In cambio, i sauditi ottengono la cacciata dei docenti critici nei confronti dell’islam e la propaganda in tutti gli atenei di una visione wahabita-compatibile.
Non siamo ancora arrivati all’allontanamento in blocco dei critici dell’islam, né alla diffusione dell’ideologia wahabita alla facoltà di Lettere moderne, dove François insegna e colleziona studentesse, ma il finanziamento della Sorbona da parte di fondi arabi è invece già realtà. Lo scoop è del magazine Causeur, che ha riportato mercoledì un comunicato nel quale si legge che il presidente dell’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne, Philippe Boutry, ha siglato un accordo, lunedì 14 settembre, con il procuratore generale dello stato del Qatar, secondo cui il paese sunnita si impegna entro i prossimi tre anni a versare nelle casse dell’Università parigina un milione e ottocentomila euro per finanziare gli studi di centinaia di migranti siriani. Seicentomila euro all’anno che la dinastia al Thani, già attiva in Francia in numerosi altri settori (nel calcio, con il Paris Saint-Germain, ma anche con quote importanti nei grandi gioielli dell’industria transalpina, Lagardère, Veolia, Vinci, Total, Lvmh, France Télécom), dirotterà a Parigi, nell’università che fu il centro del maggio ’68, per sostenere le loro spese di alloggio e le loro rette universitarie. A Doha come a Parigi i qatarioti, i cui rapporti con l’estremismo islamico sono più che ambigui, per usare un eufemismo, sono a casa loro. Ma mentre a Doha chiudono le porte ai migranti provenienti da Aleppo o da Raqqa, a Parigi gli stessi emiri, che prima con Sarkozy poi con Hollande sono sempre stati ricevuti in pompa magna ogniqualvolta hanno deciso di fare una capatina all’Eliseo, chiedono ai francesi di accogliere i rifugiati a braccia aperte. Noi non li vogliamo, ve li mandiamo in Francia, ma non preoccupatevi, ci incarichiamo noi delle spese. E’ andata pressapoco così quando l’accordo è stato firmato.
[**Video_box_2**]In nome dei “suoi valori di solidarietà e umanitarismo”, come evidenziato dal comunicato, la facoltà più prestigiosa di Francia si è dunque impegnata ad accogliere centinaia di rifugiati siriani con l’aiuto del Qatar, salutando l’“azione umanitaria” del paese sunnita, in linea con quanto dichiarato pochi giorni fa dal presidente Hollande che ha riaffermato “l’impegno della Francia quale terra d’asilo”. L’inveramento successivo di alcuni scenari dipinti da Houellebecq, come appunto l’accettazione di finanziamenti che provengono da paesi non proprio campioni dei diritti dell’uomo e della salvaguardia delle libertà individuali come il paese del Golfo, ha decisamente qualcosa di incredibile. Nel 2006 la Sorbona apriva una sua succursale negli Emirati arabi uniti, per permettere agli studenti di Abu Dhabi di formarsi in lingua francese. Dieci anni dopo i finanziamenti piovono in senso inverso da un altro paese arabo amico come il Qatar. La notizia è stata tralasciata dai giornali della gauche, e ha invece fatto trasalire i militanti delle federazione studentesca Uni (Union nationale inter-universitaire), che hanno lanciato una petizione online contro “l’apparente generosità di Paris 1 e del Qatar”, e il fatto assurdo che la loro Università accetta i soldi dagli emiri, ma rifiuta per statuto, con la scusa dell’indipendenza, gli aiuti delle imprese francesi.
L'editoriale dell'elefantino