Quanti parallelismi tra Francia e Italia in medio oriente
Roma. Ieri sera Matteo Renzi ha invitato Ne a cena chez Massimo Bottura a Modena. Non c’è dubbio che l’alta gastronomia italiana abbia creato un clima ottimale: i francesi apprezzano questo genere di attenzione. C’è stato spesso un eccellente rapporto fra i leader francesi e italiani, come ai tempi di Mitterrand e Craxi, ma con pochi risultati concreti.
Tra Italia e Francia ci sono alcune differenze. La Francia è in guerra. Parigi ha confermato il suo impegno militare contro lo Stato islamico estendendo il raggio di azione dell’armée de l’air alla Siria. Si tratta di una decisione che illustra la continuità con la politica precedente, ma che rivela anche un’evoluzione della posizione francese. Dopo la decolonizzazione, la Francia non ha mai smesso di utilizzare l’approccio militare, spesso per assicurare una certa stabilità ad alcune zone dell’Africa. Dal 2011 in poi, Parigi è impegnata in un interventismo attivo che nel caso della Libia assomigliava al regime change americano. L’operazione in Libia è stato spesso mal capito in Italia, dove si cercavano motivi realisti (gli interessi della Total) mentre le dinamiche dell’interventismo francese erano politiche e ideologiche. Ma è l’intervento nel Mali iniziato nel 2013 e poi trasformato in un dispositivo permanente di controllo militare della zona sub-sahariana che rappresenta lo spartiacque. La Francia percepisce un rischio di destabilizzazione regionale che si unisce alla potenziale crescita di gruppi terroristi, e questo mix pericoloso suscita un’azione francese con il sostengo statunitense ma quasi senza aiuti europei. Gli attentati di Parigi del gennaio scorso hanno poi confermato la necessità di contrastare il terrorismo di matrice islamica, con la percezione di un paese sotto attacco. Da questa logica deriva l’intervento contro lo Stato islamico, prima in Iraq e oggi in Siria. Questo deciso impegno militare francese rinsalda l’alleanza fra Parigi e Washington, come dimostra l’integrazione delle forze armate nei vari teatri di operazione. L’analisi della minaccia da parte dei francesi si è evoluta, prendendo in considerazione la pericolosità dei gruppi terroristi basati in Siria, potenziali organizzatori di attentati sul territorio francese. Seguendo questa logica, sembrava inutile limitarsi ad intervenire in Iraq: l’intervento francese in Siria rappresenta anche il modo per la Francia di superare la sua impasse interna – soprattutto sul tema dell’immigrazione – e di testimoniare, anche a se stesso, che esiste e intende giocare un ruolo “positivo”.
[**Video_box_2**]La Libia come “contro esempio” in Italia
La posizione italiana è diversa. La partecipazione all’intervento in Libia nel 2011 è stata sofferta. Da quel momento l’Italia non ha più contribuito a nuove missioni militari, dovendo poi fare i conti con la delicatezza degli equilibri di coalizione al suo interno ma anche con la crisi delle risorse per l’apparato militare. Per l’Italia, la Libia del 2011 è diventato un “contro esempio” e si temono gli effetti non controllabili di interventi che possono coinvolgere equilibri locali, anche se la stabilità è sinonimo di dittatura. L’Italia ha una posizione diplomatica che sembra piuttosto attenta: non chiudere i canali con Mosca, considerata fondamentale sullo scacchiere mediorientale, riconoscere e sostenere con forza il regime dell’Egitto.
Però oggi l’Italia non sembra in grado di raccogliere i frutti di questa saggia diplomazia, mentre l’Egitto compra caccia Rafale e navi Orizzonte dai francesi e Parigi si trova a fianco delle forze russe dispiegate in Siria a sostengo di Bashar el Assad. La Francia si dimostra in grado di procurare sicurezza militare ai suoi alleati e clienti, ed è questa capacità che viene in qualche modo comprata.
Entrambi i paesi hanno le loro buone ragioni. Certamente stanno percorrendo vie diverse, per quanto parallele. La via italiana sembra concentrata sul riformismo interno, avendo accantonato qualsiasi uso della forza militare in un contesto internazionale. La via francese è decisamente interventista con una forte capacità di uso dello strumento militare. Tutto questo va bene, a patto che l’Italia non abbia bisogno di chiedere aiuto ai suoi partner per partecipare a uno sforzo di stabilizzazione militare della Libia. In tal caso non si potrebbe fare a meno dei francesi, già presenti in Niger. Esistono alcuni scenari nei quali le traiettorie fra Parigi e Roma si incrociano: magari ci si potrebbe pensare già adesso.
Jean-Pierre Darnis è vicedirettore del programma Sicurezza e Difesa all’Istituto Affari Internazionali