Il presidente catalano Artur Mas (foto LaPresse)

Catalogna e Leviatano. La strana alleanza ideale tra liberali e indipendentisti

Luciano Capone

Questa strana coalizione destra-sinistra, guidata dal liberal-conservatore Mas e tenuta in piedi dal voto dei marxisti della Cup, attraversa trasversalmente le famiglie politiche e anche c’è tra gli osservatori liberali c’è chi tifa per l’indipendentismo catalano.

Sono state le elezioni più complicate della storia della Catalogna e anche i risultati lo sono. Il fronte indipendentista guidato dal presidente uscente di centro-destra Artur Mas unito con la sinistra repubblicana e anticapitalista ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi e quindi, secondo gli annunci della campagna elettorale, potrà avviare il processo di secessione dalla Spagna. Gli indipendentisti hanno avuto la maggioranza dei seggi (72 su 135) ma non quella dei voti espressi, fermi al 48%, cosa che non dà piena legittimità alla via secessionista in elezioni a cui è stato dato valore plebiscitario. Ma ciò non vuol dire che il restante 52% sia contro la secessione. Perché il 12% degli elettori che hanno votato per partiti come Podemos o Uniò non era né per il sì né per il no, ma per il “derecho a decidir”, ovvero un referendum (già negato però da Madrid). Quindi i voti dei partiti unionisti sono solo il 40%. In sintesi l’indipendentismo non ha vinto così nettamente, ma tutte le alternative hanno perso.

 

Questa strana coalizione destra-sinistra, guidata dal liberal-conservatore Mas e tenuta in piedi dal voto dei marxisti della Cup, attraversa trasversalmente le famiglie politiche e anche c’è tra gli osservatori liberali c’è chi tifa per l’indipendentismo catalano: “A lungo si è pensato che fosse la dimensione della comunità politica a garantire il rispetto delle libertà e dei diritti individuali, ma è stato un abbaglio del liberalismo classico: un governo che decide della limitazione delle libertà e non trova contropoteri non può funzionare. Jefferson se ne accorgeva già alla fine del ‘700”. Marco Bassani insegna storie delle dottrine politiche all’università di Milano, è uno studioso della tradizione americana ed è stato allievo di Gianfranco Miglio, ma a dispetto del suo maestro (o forse in continuità) ritiene che negli stati attuali non ci sia più spazio per soluzioni federali: “Il grosso dei liberali da Constant in poi non ha dato alcuno spazio ai contropoteri territoriali, ma attualmente per l’unica via per far arretrare il Leviatano è ridurne l’ampiezza. Se è necessario accettare l’esistenza dello stato come monopolio della forza su un territorio, ciò che si può contestare è il territorio. E' chiaro che in questo senso ogni secessione sia un contraccolpo alla teoria della sovranità”. Bassani dice che nessuno può sostenere quale sia la dimensione ottimale per uno stato, ce ne sono di tutte le misure da Andorra alla Cina, e non ci sono neppure motivi di efficienza validi ad impedire la nascita di stati più piccoli: “Ormai la distinzione destra-sinistra non ha alcun senso – sostiene Bassani – la vera distinzione è quella tra piccoli e grandi Leviatani, ed è evidente che sono più inclini ad allentare la presa sulla società se sono sottoposti alla concorrenza. Uno stato catalano in questo senso è vantaggioso anche per gli spagnoli: se aumentano le tasse dà loro l’opportunità di spostarsi in un altro stato senza barriere linguistiche e con un’economia integrata”.

 

La simpatia per l’indipendentismo catalano da parte dei liberali à la Bassani è dovuta anche al fatto che non si basa su un nazionalismo etnico o autarchico (la nuova Catalogna vuole restare nell’euro, nella Nato e mantenere un’economia aperta) e alla presenza di una classe dirigente con una visione di lungo periodo e in grado di guidare la transizione: “Artur Mas è un genio politico che ha guidato un movimento venuto fuori in brevissimo tempo. I catalani vogliono secedere dalla Spagna e restare in Europa per gestire meglio le proprie risorse, quella di Salvini invece è l’operazione opposta: uscire dall’Euro per salvare l’Italia. È un’operazione che non ha nulla d’indipendentista, potrebbe chiamare il partito Lega Italia per togliere l’equivoco”.

 

[**Video_box_2**]La dichiarazione unilaterale d’indipendenza annunciata in caso di vittoria dai catalanisti comporta dei rischi notevoli, perché può mettere in discussione la permanenza nell’Ue e nell’euro, la sostenibilità del sistema pensionistico e del debito pubblico, il funzionamento del sistema bancario. È una decisione con costi ancora occulti e possibili conseguenze peggiori del previsto. Ma anche se nella campagna elettorale c’è stata una forte dose di retorica e populismo (come d’altronde anche sull’altro fronte), non vuol dire che tutto è nelle mani di apprendisti stregoni. Mas e il suo partito hanno una lunga esperienza di governo e non sposano teorie economiche bizzarre, anzi il processo indipendentista è supportato da un gruppo di economisti di altissimo livello. Uno su tutti Andreu Mas-Colell, ministro dell’economia e dell’istruzione della Generalitat catalana, autore del testo di microeconomia più usato al mondo, a lungo docente ad Harvard: per lui la permanenza della Catalogna nella Spagna è “la via verso la decadenza”. Oltre a Mas-Colell ci sono altri professori catalani che appoggiano il percorso verso l’indipendenza, come quelli riuniti nel Collectiu Wilson: Xavier Sala-i-Martin, economista alla Columbia university, Pol Antràs, docente di economia ad Harvard, Carles Boix che insegna scienze politiche a Princeton, Gerard Padró-i-Miquel, economista alla London School of Economics, Jaume Ventura e Jordì Galí della Pompeu Fabra di Barcellona. La strada verso l’indipendenza è molto stretta, piena di rischi e pericoli, ma i catalani sanno che se vorranno percorrerla potranno fare affidamento su una classe dirigente preparata. Insomma, niente personaggi in giubbotto di pelle e motocicletta o guru che pontificano su blog e social network.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali