Il giorno dopo l'uccisione di Eitam e Nama Henkin in Cisgiordania ci sono stati manifestazioni e scontri a Gerusalemme (foto LaPresse)

I finanziamenti di Ue e Iran

Ora anche Fatah torna a rivendicare attentati contro gli israeliani

Daniele Raineri
Il giorno dopo avere ripudiato gli accordi di Oslo, la fazione del presidente Abu Mazen imbraccia di nuovo le armi

Roma. Ieri le brigate palestinesi Abder Qader al Husseini hanno rivendicato l’uccisione di due israeliani, Eitam e Nama Henkin, marito e moglie,  avvenuta giovedì notte sulla strada che collega due villaggi nella zona di Hebron. Si tratta di un gruppo affiliato alle brigate dei martiri di al Aqsa del partito al Fatah che amministra la Cisgiordania sotto la guida di Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese. Il gruppo ha aperto il fuoco di notte a caso contro l’automobile, su cui viaggiavano la coppia e i quattro figli piccoli. I bambini sono sopravvissuti all’attentato.

 

La rivendicazione del gruppo definisce il doppio omicidio “un atto necessario compiuto in nome della lotta del popolo per riprendere la terra usurpata e in nome del sacro jihad ”. E’ stata accolta con entusiasmo da alcuni membri di spicco del partito, come Azzam al Ahmad e Sultan Abu al Einen, e anche da Hamas, che ha fatto le sue congratulazioni. Arriva due giorni dopo la dichiarazione durissima di Abu Mazen davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite: la Palestina, ha detto, non riconosce più il valore degli accordi di Oslo, fondamento da oltre vent’anni del processo di pace tra Israele e Palestina.

 

[**Video_box_2**]Mentre l’attenzione dei media è rivolta altrove, alla guerra in Siria e alla crisi internazionale dei rifugiati, c’è una escalation di ostilità tra palestinesi e israeliani. Al Fatah riceve finanziamenti e aiuti dall’Unione europea e dall’America, ma le brigate militari affiliate dichiarano apertamente di ricevere addestramento e finanziamenti dall’Iran e dal gruppo libanese Hezbollah. Ora la parte militare dell’ibrido sta prendendo il sopravvento e un altro pezzo di stabilità del medio oriente, l’immobilismo di al Fatah e dei suoi leader, rischia di essere rimpiazzato dalla violenza. Sarebbe un magro risultato dopo questi anni di colloqui diretti con Washington e Bruxelles.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)