A Putin non c'è alternativa
Non esiste nessuna alternativa a un’alleanza con Vladimir Putin in Siria per gli Stati Uniti e l’occidente, per almeno due ragioni. La prima è che l’obiettivo primario di qualunque azione nell’area deve essere quello di fermare lo Stato islamico, la minaccia più grave alla stabilità e un pericolo esistenziale per tutti. Date le condizioni sul campo, non è però possibile combattere lo Stato islamico e contemporaneamente lavorare per rovesciare il governo di Assad, che controlla circa il 60 per cento della popolazione, bisogna scegliere, e la scelta è una soltanto. A cacciare Assad l’America ci prova in modo fallimentare da quattro anni, e oggi continuare a parlare di questa opzione è ridicolo.
Mi si potrebbe obiettare che nel 2011, con i movimenti della primavera araba, era politicamente impossibile per Barack Obama schierarsi con Assad, ma ben presto è stato chiaro che il regime change non avrebbe funzionato, come del resto non hanno funzionato tentativi simili fatti di recente. A quel punto la politica americana doveva cambiare, anche per evitare che il vuoto alimentato dall’indecisione fosse riempito da qualcun altro, cioè lo Stato islamico. Invece l’Amministrazione ha continuato a fare pressione su Assad, immaginando forse che una volta cacciato il tiranno, Thomas Jefferson e James Madison sarebbero resuscitati dai morti e avrebbero preso il controllo di Damasco. I liberal hanno molta fantasia. Il secondo motivo è l’esodo dei rifugiati in Europa, un gigantesco disastro umanitario che porta con sé problemi politici seri. Chiaramente l’Europa non è in grado di gestire un flusso di persone che non può che rinfocolare pericolose forme di nazionalismo e populismo. Per l’America non è un problema immediato, c’è un oceano di mezzo, ma deve tutelare i suoi alleati. Per quanto riguarda un’azione “boots on the ground” fuori da una coalizione con la Russia, si tratta di pura fantasia.
[**Video_box_2**]Un’operazione del genere peggiorerebbe la situazione umanitaria, e gli Stati Uniti hanno già dimostrato di non essere in grado di guidare una transizione democratica dopo la detronizzazione di un leader. Questo senza contare l’opposizione dell’opinione pubblica. La pietra tombale all’ipotesi di un coinvolgimento militare sul campo l’ha messa l’ingresso della Russia: ora un’operazione unilaterale significherebbe uno scontro diretto con Mosca, ipotesi che nessuno vuole. Esagerano però quelli che esaltano l’abilità da scacchista di Putin, che ha messo l’America in una posizione impossibile: la Russia ha soltanto occupato lo spazio politico lasciato sguarnito da Obama, niente di più.
John Mearsheimer è politologo dell’Università di Chicago
(testo raccolto in redazione)
L'editoriale dell'elefantino