Le sbandate a sinistra di Hillary per riciclarsi come eroina antisistema
New York. Fino all’altro ieri Hillary Clinton considerava il trattato di libero scambio dell’area pacifica (Tpp) il “gold standard degli accordi commerciali”, un’iniziativa “importante per i lavoratori americani e che “rafforzerà la posizione degli Stati Uniti in Asia”. Lo ha detto in tutte le sedi possibili e, per chiarire, lo ha scritto nel suo memoir, “Hard Choices”, che di recente ha inviato a tutti i candidati repubblicani. Da quando era segretario di stato ha elogiato per almeno 45 volte in pubblico il trattato con cui Barack Obama vuole sigillare il suo “pivot” asiatico e contrastare la Cina. Dall’oggi al domani la candidata ha abbandonato le sue convinzioni, dichiarandosi contraria a un accordo che, dice, “distrugge posto di lavoro americani” e non contrasta la “manipolazione valutaria”. Hillary si allinea in sostanza alle critiche del lato sinistro del partito democratico e di Bernie Sanders, il candidato socialista che lei non cita mai ma che continua a rosicchiarle via elettori e sondaggi. Possibile che per coprirsi le spalle a sinistra abbia fatto un voltafaccia tanto spudorato? La versione di Hillary per vendere in modo convincente all’elettorato il suo flip-flop è che il Tpp sui cui i paesi hanno trovato un accordo non è più quello di una volta, contiene meno protezioni per i lavoratori e per i consumatori di quello per cui lei si è battuta, e a parte il fatto che i dettagli del trattato non sono ancora pubblici, quello che si sa è che in termini di protezione del lavoro – sovrana preoccupazione della sinistra con il turbo – il testo finale è anche più coraggioso e sicuro del “gold standard” abbracciato da Hillary anni fa.
Se quello era un ottimo affare per la sinistra amica del mercato, questo dovrebbe essere un gol a porta vuota, indigesto soltanto per chi si ostina nella crociata contro i fantasmi della globalizzazione. Non sfugge a nessuno la manovra di riposizionamento a sinistra che Hillary sta realizzando, con alcune goffaggini che ricordano il “ero a favore prima di essere contro” di kerryana memoria, tanto che Sanders non ha perso l’occasione per sfotterla: “Avevo ragione io, ma prima di te!”. Ieri Hillary ha annunciato un piano durissimo per puntellare Wall Street, settore in cui abbondano finanziatori della campagna elettorale e amici di famiglia, proponendo una versione ancora più dura della “Volcker rule”. Sono misure necessarie per “fronteggiare gli abusi e i rischi delle grandi banche”, ha detto pescando direttamente dal bacino fraseologico di Sanders. Di recente ha preso anche posizione contro alcuni dispositivi dell’Obamacare che penalizzano i lavoratori, alleandosi con i sindacati in una battaglia che la candidata non aveva mai menzionato fino a questo momento, fedele com’era al dettato dell’Amministrazione Obama.
[**Video_box_2**]Per lisciare il pelo alla sinistra ambientalista ha dichiarato la sua opposizione totale alla costruzione dell’oleodotto Keystone, discusso progetto per congiungere i giacimenti del Canada alle raffinerie del Golfo del Messico. Che i candidati mainstream siano trascinati verso gli estremi ideologici è un fatto fisiologico nelle primarie, ma qui Hillary non si sta soltanto rifacendo il trucco per apparire vagamente accettabile agi occhi della sinistra antagonista, ma si cautela in vista di un’eventuale entrata in campo di Joe Biden, che nel caso si posizionerebbe a destra di Hillary, punto non ideale per combattere una lunga campagna basata sulla capacità di motivare ideologicamente l’elettorato. Non è un segreto che abbia già mobilitato una squadra di segugi per scavare nel passato di Biden alla ricerca di contraddizioni e passi falsi. Tuttavia, per Hillary non è semplice reinventarsi senza risultare un’opportunista senza nemmeno troppo senso tattico, e dietro le manovre di questi giorni si scorge più la spinta della paura che un impulso strategico. E come scrive Ben White, giornalista di Politico, queste mosse “rafforzano chi dice che Clinton non ha convinzioni su nulla”.