Strage dello Stato islamico
La polizia turca si è fatta sfuggire “I tessitori”, il gruppo dell'attentato
Roma. Il governo turco accusa lo Stato islamico per l’attentato più grave della storia del paese, che sabato ha ucciso circa cento manifestanti vicino alla stazione ferroviaria principale di Ankara. La polizia cerca sedici uomini che appartengono al gruppo estremista e che erano su una lista di potenziali attentatori suicidi – gli investigatori turchi hanno prelevato campioni di Dna dalle famiglie e li stanno confrontando con i campioni prelevati da dodici corpi non ancora identificati trovati sul luogo della doppia esplosione. Il premier Ahmet Davutoglu dice che gli stragisti erano due e che probabilmente appartenevano allo Stato islamico. Alcuni testimoni raccontano al giornale Cumhuriyet che un uomo con un megafono, sconosciuto agli organizzatori del corteo, ha attirato i manifestanti verso il punto esatto della strage e si sospetta che fosse parte del piano del gruppo terrorista per massimizzare l’effetto delle due bombe, ciascuna da circa dieci chilogrammi di esplosivo mescolato con biglie di metallo.
Sulla lista di sedici nomi c’è anche Yunis Emre Alagoz, fratello di Sheikh Abdurrahman Alagoz, che il 20 luglio si fece esplodere in un corteo e uccise 33 giovani curdi in un attentato uguale (anche lui fu identificato grazie al Dna). I due fratelli erano al centro di un gruppo speciale dello Stato islamico formato da circa sessanta volontari turchi (curdi islamisti) nella città di Adyaman, vicino al confine con la Siria, che si fa chiamare “Dokumacilar”, che in turco vuol dire “I tessitori”. Il gruppo ha come obiettivo quello di colpire i curdi in Turchia come rappresaglia per le operazioni vittoriose delle milizie curde in Siria contro lo Stato islamico.
I curdi sono la fazione più efficiente nella guerra contro lo Stato islamico, come hanno dimostrato con la riconquista di Kobane a gennaio, con la presa della città di Tal Abyad a giugno e con l’offensiva che in questi mesi si sta allungando verso Raqqa, capitale dello Stato islamico. Venerdì la Difesa americana ha annunciato che armerà i curdi siriani e i loro partner arabi, per appoggiare questa campagna verso sud.
Se uno dei due attentatori fosse Alagoz, sarebbe un motivo di imbarazzo grave per i servizi di sicurezza turchi. A giugno un amico dei due fratelli di nome Orhan Gonder fece esplodere una bomba durante una manifestazione curda a Diyarbakir – i morti furono quattro. Gonder era stato arrestato in precedenza dalla polizia perché renitente alla leva dopo essere rientrato nel paese dalla Siria, dove si era addestrato con lo Stato islamico. Era già stato segnalato come pericoloso, ma fu lasciato libero: eppure Gonder era il collegamento a un gruppo di attentatori micidiali.
[**Video_box_2**]Queste le indagini, per ora, e però occupano un posto marginale nel clima politico della Turchia dopo la strage. I curdi accusano il governo del presidente Recep Tayyip Erdogan di collusione materiale con gli attentatori dello Stato islamico e ieri lo striscione che apriva il corteo di protesta a Istanbul diceva: “Stato assassino”. Fioccano le accuse contro Erdogan, colpevole secondo i curdi di alimentare una strategia della tensione per spaventare gli elettori e vincere le elezioni del prossimo primo novembre. Gli accusatori però non portano prove e citano comportamenti che nella Turchia di oggi sono diventati routine, come per esempio il blocco dei social media su internet dopo la strage e la repressione brutale della polizia, che è intervenuta con idranti e lacrimogeni sul luogo delle esplosioni.
Erdogan si è mosso contro lo Stato islamico: 1.500 persone sono state arrestate sul confine con la Siria, altre 15 mila sono su una lista di sorvegliati che non possono viaggiare e a luglio ha aperto le basi agli aerei americani – dando loro un vantaggio strategico, perché prima dovevano partire dal Golfo. Ma il conflitto contro lo Stato islamico, che ha ricambiato Erdogan con una condanna a morte, sbiadisce sullo sfondo della quasi guerra civile in corso tra esercito e minoranza curda.
Il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi non rivendica queste stragi in Turchia. E’ inusuale, ma potrebbe essere una decisione deliberata, perché alimenta la tensione e le accuse interne. Più curdi e governo si fanno la guerra, meno combattono contro i jihadisti al di qua e al di là del confine.
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