Il primo ballottaggio presidenziale della storia in Argentina è una sconfitta per il kirchnerismo
Daniel Scioli: 35,9 per cento. Mauricio Macri: 35,1. Per la prima volta nella sua storia l’Argentina va a un ballottaggio presidenziale. Ma già il risultato del primo turno rappresenta un tonfo clamoroso per quel blocco storico kirchnerista che era emerso dalla grande crisi del 2001, e che aveva rappresentato la variante neo-peronista del fenomeno definito “l’ondata a sinistra latino-americana”.
58 anni, governatore della Provincia di Buenos Aires, ex vicepresidente di Cristina Kirchner, ex ministro dello Sport e del Turismo del presidente Eduardo Duhalde, figlio del proprietario di una delle più popolari catene di rivendita di elettrodomestici del paese, otto volte campione mondiale di motonautica anche dopo l’incidente dell’elica che nel 1989 gli mozzò di netto un braccio, Daniel Scioli era il delfino della presidentessa. Candidato di un Fronte della Vittoria in cui lo storico Partito Giustizialista è alleato con una dozzina di altri partitini satelliti: compresi quello Comunista. Il curioso sistema elettorale che l’Argentina dei Kirchner ha adottato prevede due particolarità. Primo: per vincere al primo turno non serve il 50 per cento più uno, ma basta il 45 per cento, o il 40 per cento con dieci punti di vantaggio sul secondo classificato Un marchingegno che sembra fatto apposta su misura per le caratteristiche del blocco kirchnerista: non automaticamente maggioritario, ma affrontato a un’opposizione divisa. Secondo: le elezioni sono anticipate tre mesi prima da primarie in cui il voto è obbligatorio, e che finora avevano sostanzialmente anticipato i risultati finali. Anche le formule che hanno un candidato solo devono fare le primarie per forza, e Scioli come unico nome del Fronte della Vittoria il 9 agosto aveva ottenuto il 38,67 per cento. Insomma, vicinissimo al 40 per cento.
56 anni, ex-capo di governo della Città di Buenos Aires, figlio di un emigrante italiano divenuto uno degli uomini più ricchi dell’Argentina, ex-presidente del Boca Juniors, fondatore e leader del partito liberal-conservatore Proposta Repubblicana (Pro), già soprannominato “il Berlusconi argentino” ma con un percorso che forse potrebbe ricordare più ancora quello di Alfio Marchini, Mauricio Macri stava invece nella coalizione “Cambiemos”, a sua volta una coalizione di sette partiti. Nel suo complesso, l’alleanza il 9 agosto aveva ottenuto il 30,12 per cento. Ma Macri aveva preso personalmente solo il 24,79, tolti i suffragi che erano andati agli altri due pre-candidati: Ernesto Sanz, dell’Unione Civica Radicale, e Elisa Carrió, di Coalizione Civica Affermazione per una Repubblica Egualitaria. E se lui ha un profilo nettamente di centro-destra, i suoi due alleati erano invece sensibilmente più spostati verso il centro-sinistra. Sarebbe riuscito Macri a ottenere anche i loro voti al momento delle elezioni vere? Secondo logica, avrebbe dovuto essere più facile per Scioli recuperare il poco che gli mancava per arrivare al 40: magari, pescando dal 17,1 per cento del terzo candidato Sergio Massa. 43 anni, deputato per la Provincia di Buenos Aires, ex capo di Gabinetto di Cristina Kirchner, ex Intendente del municipio di Tigre (e presidente della locale squadra di calcio), figlio di un costruttore: un peronista dissidente, alcuni dei cui elettori avrebbero potuto tornare all’ovile. I sondaggi avevano appunto suggerito che per Scioli l’obiettivo del 40 per cento e 10 punti di vantaggio su Macri fosse vicinissimo.
Ci si può figurare dunque lo shock al quartier generale kirchnerista del Luna Park, quando i primi risultati sono arrivati, e si è visto che Macri era addirittura in testa. Poi il dato si è aggiustato, Scioli è tornato in testa, ma è questione di decimali. Un pareggio tecnico che, appunto, per il Fronte della Vittoria è la più sonora delle sconfitte. Da notare che piuttosto di cedere voti a Scioli è stato Massa a guadagnarglieli, arrivando a un 21,2 per cento per niente disprezzabile, in un quadro così polarizzato. Adesso, si conferma che è lui l’arbitro. Oltre che per presidente e vice-presidente si votava anche per 130 dei 257 deputati, 24 dei 72 senatori, governatori, vice-governatori, deputati provinciali, senatori provinciali, sindaci e consiglieri municipali di 11 delle 23 province. E il quadro di disastro per il kirchnerismo appare confermato dal risultato nella Provincia di Buenos Aires, sua storica roccaforte. Successore di Scioli a governatore appare infatti destinata a essere la macrista María Eugenia Vidalse: 39,6 per cento, contro il 34,8 per cento del kirchnerista Aníbal Fernández, dopo il 68 per cento dello scrutinio.
[**Video_box_2**]Ovviamente, di qui al ballottaggio del 22 novembre molte cose possono ancora accadere. Ma la corsa di Scioli è ora tutta in salita. Forse la sua mossa più sbagliata è stata di rifiutare di partecipare al dibattito tv in cui sono andati i suoi cinque avversari: invece di un’immagine di forza, gliene hanno data una di vigliaccheria che non è stata perdonata. Si tratta di uno stile di disprezzo verso l’opposizione che ha caratterizzato gran parte dei governi dell’”ondata a sinistra”, e che finora aveva pagato. Ma probabilmente i tempi stanno cambiando (http://www.ilfoglio.it/esteri/2015/10/23/le-10-parole-per-capire-le-elezioni-di-domenica-in-argentina___1-v-134169-rubriche_c190.htm). “Quel che è accaduto oggi cambia la politica di questo Paese” ha commentato un Macri euforico, che poi ha festeggiato ballando a tutto spiano. Dal Fronte della Vittoria, invece, un silenzio imbarazzato.