Elicotteri russi Mi-24 bombardano in Siria

Cosa sbagliano in Siria Putin e Obama?

Daniele Raineri
“Cent’anni di guerra”. Conversazione con Aaron Zelin, esperto di Stato islamico che sul breve termine non vede in Siria forze in grado di sradicare lo Stato islamico e di eliminarlo.

Roma. Ieri mattina l’esperto di Stato islamico Aaron Zelin è venuto a parlare alla Farnesina in un incontro non aperto al pubblico e organizzato dallo Iai, l’Istituto per gli Affari Internazionali. Zelin ha fondato il sito Jihadology, che da anni – da tempi non sospetti, quando ancora non era un tema urgente – è uno dei punti di riferimenti per chi studia i gruppi jihadisti. Jihadology raccoglie e archivia in versione originale l’infinita varietà delle produzioni media dei gruppi jihadisti più pericolosi.

 

Sul breve termine, Zelin non vede in Siria forze in grado di sradicare lo Stato islamico e di eliminarlo. E i russi, che da circa un mese bombardano la Siria (a ovest, dove non c’è lo Stato islamico) per coprire dall’alto le manovre di terra dei soldati siriani e iraniani? Loro non sono una forza in grado di battere lo Stato islamico? “Per ora stanno riproponendo lo stesso modello seguito dal governo di Bashar el Assad negli anni precedenti, soltanto con forze fresche – dice al Foglio – Altri bombardamenti e altre offensive tentate a terra, ma questo intervento sta peggiorando la situazione invece che risolverla perché c’è un problema ideologico: l’azione militare russa si fonda sull’avanzata di truppe sciite in zone che sono storicamente a prevalenza sunnita, e questo crea uno scenario di aggressione e d’occupazione intollerabile per i sunniti, anche per quelli che non si identificano con i gruppi del jihad e con le degenerazioni fanatiche". Non si può ignorare la questione aperta tra sciiti e sunniti, perché è il grande problema identitario al centro delle guerre mediorientali. Chi la ignora finisce con il fornire combustibile ideologico per i gruppi ultraestremisti perché conferma la loro narrativa: è una grande guerra di religione contro l’islam e tocca rispondere.

 

Questa narrativa andrebbe invece smentita. Quindi una delle grandi questioni per fare la guerra allo Stato islamico e in generale per disinnescare la tensione è questa: trovare soldati sunniti che non facciano sentire chi abita nelle zone sunnite come vittime di un’invasione di pasdaran iraniani. Altrimenti la ricetta è sbagliata. Un esempio per assurdo: basare la strategia della guerra sulle milizie sciite è come mandare in Siria un contingente di peacekeeper israeliani. Più che stabilizzare la situazione sul campo, diventerebbe un magnete per attacchi.

 

E i curdi? Potrebbero essere loro l’esercito che batte lo Stato islamico? Molti curdi sono sunniti, è vero, dice Zelin, ma nel loro caso c’è la complicazione etnica. Arabi e curdi non vanno d’accordo in via automatica, anzi, per dirla con più precisione: i curdi sono formidabili quando combattono nelle zone curde per riprendere il territorio curdo, ma non si può contare su di loro al di fuori di quelle terre, come soluzione per i problemi di Iraq e Siria.

 

Forse allora i gruppi arabi, sunniti e anti Assad che combattono a nord e ovest, tra Idlib, Aleppo e la piana di Hama? Zelin non si fida di Ahrar al Sham (uno dei gruppi islamisti più grandi, rigido ma non interessato al terrorismo internazionale, la scorsa estate ha pubblicato due editoriali per spiegare la propria visione sul Washington Post e sul Telegraph). “Tra Ahrar al Sham e Jabhat al Nusra c’è la stessa relazione che c’è tra i talebani afghani e al Qaida, anche se Ahrar al Sham e più colta e cosmopolita dei talebani. La loro visione è quella”. E quindi cosa succederà con i gruppi del Fsa che non vogliono una Siria governata dall’estremismo e ricevono armi anticarro da americani e sauditi? Per ora nulla perché stanno tutti combattendo contro un nemico comune, ma poi ci sarà un grande regolamento di conti, tipo l’Afghanistan del 1989, quando i russi lasciarono il paese e le varie fazioni cominciarono a farsi la guerra tra loro.

 

Se una speranza può essere riposta in questi gruppi eredi del Fsa, allora è a sud che bisogna guardare. Zelin considera le fazioni moderate che stanno combattendo in quel territorio compreso tra la capitale Damasco e il confine con la Giordania come il fronte più compatto, disciplinato e funzionale. Se un gruppo sunnita può stabilizzare la Siria e fare la guerra agli estremisti, sono loro, ma sarà un tour de force: dovranno risalire da sud in senso antiorario verso Deir Ezzor, combattere lo Stato islamico lungo tutta la valle dell’Eufrate fino a Raqqa – che nel frattempo è minacciata da vicino da una lenta avanzata dei curdi – e poi passare alle zone di Idlib e Latakia, per ultime.

 

[**Video_box_2**]Ieri il viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov, uno dei più abili diplomatici russi, ha rivelato che ogni giorno delegazioni del Fsa arrivano a Mosca per trattare con il gvoerno – una strana situazione: in Siria gli aerei russi li bombardano, a Mosca sono ricevuti al ministero. In ogni caso, è un segno che anche il governo russo trova interessante avere contatti con i gruppi armati siriani che non sono jihadisti – anche se l’Fsa sta negando con sdegno di avere mandato delegati a Mosca.

 

Infine, la dottrina del containment di Barack Obama: ostacolare l’espansione dello Stato islamico, ma senza intraprendere la strada del confronto definitivo. “Basta vedere cosa è successo in Siria in questi anni per capire che il containment non funziona, lo Stato islamico si è espanso come mai prima”. C’è una dottrina alternativa? “Sì, eliminare lo Stato islamico. Ma ancora per un anno ci sarà Obama alla Casa Bianca e non si farà. Il che è anche un errore dal punto di vista ideologico, perché il motto dello Stato islamico è ‘baqiya’, ‘restare’, e ogni giorno è una vittoria e una dimostrazione che loro stanno vincendo e stanno riuscendo a sovvertire l’ordine delle cose. Il containment in questo li aiuta.” Non c’è quindi una soluzione? “Ci sarà, ma dovremmo fare i conti con l’idea che la fine di questa crisi potrebbe arrivare fra cent’anni, si tratta di una fase storica che coinvolge forze immense e complicazioni irrisolvibili”.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)