“Su Israele puntati 150 mila missili”
Roma. Alcuni giorni fa il Wall Street Journal ha ricostruito i giorni convulsi della preparazione dello strike israeliano alle installazioni atomiche dell’Iran. L’articolo “Spy vs. Spy” rivela che, nel 2012, l’aviazione d’Israele ha violato lo spazio aereo iraniano in una operazione tesa a dimostrare la possibilità di un attacco. Yaakov Amidror, consigliere per la Sicurezza nazionale di Israele, vola poi a Washington per preparare l’incontro fra il premier Benjamin Netanyahu e il presidente Barack Obama. Amidror è alla Casa Bianca a colloquio con la sua omonima, Susan Rice, che gli comunica che Obama avrebbe compiuto il passo storico di chiamare il presidente iraniano, Hassan Rohani. Amidror disse alla Casa Bianca che Israele aveva identificato i voli che trasportavano i negoziatori americani a Muscat, nell’Oman, che in quei giorni ospitava i colloqui segreti fra Washington e Teheran. Amidror fece anche sapere che era un insulto pensare di “andare in Oman senza considerare la nostra intelligence”. Adesso Amidror è a colloquio con il Foglio per fare il punto sulla sicurezza in Israele. Il generale è l’ex capo del National Security Council, scelto da Netanyahu nel 2011 e rimasto in carica per tre anni. “Quando parliamo con i nostri vicini si capisce che per loro il problema non è la guerra del 1967 o i Territori palestinesi, ma l’esistenza stessa di Israele in terra araba”, dice al Foglio il generale. “Non è una questione territoriale, in gioco c’è la stessa presenza ebraica. Per i palestinesi, non può esistere uno stato ebraico. Un accordo senza il riconoscimento di Israele come ‘stato del popolo ebraico’ non è degno quindi della carta su cui è scritto. Questo è necessario per chiudere la questione del 1948”.
Il generale Yaakov Amidror, il cui posto come consigliere per la Sicurezza nazionale è stato preso da Yossi Cohen, invita a non drammatizzare sull’attuale escalation terroristica. “Questa Terza Intifada è differente dalle prime due, prima di tutto perché non ci sono ancora migliaia di manifestanti nelle strade. E’ diversa anche la minaccia, perché non ci sono più gli attacchi kamikaze ma gli attentati con armi bianche. Inoltre, sono ancora poche le cellule terroristiche, quanto singoli individui che una mattina si alzano, escono per strada e accoltellano gli ebrei, a causa dell’incitamento all’odio. I palestinesi non hanno illusioni per quanto riguarda il potere immenso dell’esercito israeliano in medio oriente in generale e di fronte a loro in particolare. Alcuni di loro sono disposti a morire combattendo l’‘occupazione’. Un fatto deve essere ribadito: siamo noi, gli ebrei, a essere sovrani. Siamo il partito più forte in questa lotta, e nessuna ondata di terrorismo, terribile come può essere, cambierà questo elemento fondamentale nell’equazione. Durante il mandato britannico, quando il governo si è spesso schierato con i rivoltosi arabi, i gruppi di resistenza ebraici dell’Irgun e del Lehi avevano ragione a montare una risposta forte contro gli omicidi. Ora, non abbiamo più nulla da dimostrare”.
Il mainstream israeliano è diviso fra chi pensa che la nascita di uno stato palestinese vada a beneficio di Israele e chi invece lo ritiene una minaccia. Ieri il premier Netanyahu ha dichiarato di non volere uno stato binazionale, ma che “per ora dobbiamo controllare tutto il territorio”. “Ci sono due questioni contraddittorie”, continua Amidror, che ha alle spalle una lunga carriera militare che lo ha visto tra l’altro occupare la posizione di capo della divisione ricerche del servizio intelligence delle Forze armate. “La prima è la sicurezza di Israele: è impossibile affermare con sicurezza se un eventuale stato palestinese costituisse nel lungo termine una minaccia allo stato ebraico. Dall’altro lato c’è la questione demografica, ovvero la difficoltà per Israele di inglobare altri due milioni di arabi. Serve un equilibrio fra le due questioni. A oggi, i palestinesi non hanno mai accettato un compromesso. Israele ha fatto enormi passi verso i palestinesi, mentre i palestinesi non si sono mossi di un centimetro. Su alcuni argomenti, hanno persino fatto passi indietro. Se fossimo fuori dai Territori di sicuro oggi avremmo una situazione per la sicurezza ancora più difficile, perché non ci sarebbe più neppure la barriera di sicurezza antiterrorismo. Oggi molti attentati sono compiuti da palestinesi con la residenza a Gerusalemme est”.
[**Video_box_2**]“Minimizzare il danno del deal con l’Iran”
Ieri l’ex ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, ha detto che la guerra civile in Siria vedrà presto una de-escalation e che Hezbollah allora dirigerà le sue mire sullo stato ebraico. “La minaccia di Hezbollah è come una Nato senza l’America”, ci spiega Amidror. “Parliamo di 150 mila missili, è la potenza di fuoco di cinque paesi europei messi assieme. Oggi Hezbollah però non è una organizzazione per sé, ma prende ordini da Teheran. Un’eventuale guerra con Israele sarebbe quindi il frutto di più vaste decisioni regionali”. Sullo sfondo c’è il deal fra Teheran e le potenze occidentali. Amidror ha fatto parte, assieme a Uzi Arad e Amos Gilad, di un ristretto cerchio di militari e analisti che ha formulato i piani per l’attacco, mai realizzato, alle installazioni atomiche iraniane. In questa veste era la controparte di Tom Donilon, allora consigliere per la sicurezza di Obama.
“L’accordo nucleare fra Iran e occidente è un fatto. Oggi Israele deve imparare a convivere con esso, andando oltre la discussione se sia positivo o negativo. Adesso si tratta soltanto di minimizzare il danno. C’è un accordo fra Israele e Stati Uniti secondo cui dobbiamo mantenere la nostra superiorità in qualsiasi circostanza”.
E’ ottimista sul futuro dello stato ebraico? “Molto. Mia madre ha 99 anni e continua a ripetermi, ‘guarda cosa abbiamo oggi e guarda cosa avevamo noi’, quando lei arrivò nel 1921. Viviamo sotto attacco da oltre un secolo”.