Sulle scuse pelose di Blair
L’unica cosa di cui Tony Blair dovrebbe scusarsi è per aver assecondato George W. Bush nella folle impresa di mollare gradualmente la strategia dell’esportazione della democrazia e della libertà nel corso del suo secondo mandato (2004-2008). E per aver imbastito, come altri influenti leader delle classi dirigenti occidentali, un gigantesco talk-show mondiale, in sede Onu e in molte altre sedi, intorno al tema delle armi di distruzione di massa. Le guerre giuste si giustificano da sole, esprimono la responsabilità del potere sovrano delegato agli esecutivi con l’autorizzazione dei parlamenti, non si mettono ai voti neanche nelle democrazie postmoderne.
Non ha senso dire: mi scuso perché le informazioni dei servizi segreti di tutti i paesi della Nato sugli armamenti di Saddam erano inesatte, anzi è proprio un’affermazione demenziale, perché i servizi di intelligence possono sbagliare, ma se dicono che il gatto è nero non è serio che un governo compos sui lo dichiari bianco. Se fosse stata una truffa, ciò che si può escludere perché le informazioni erano incrociate e verificate rimbalzando di agenzia in agenzia in tutti i paesi impegnati nel conflitto e anche nella neutrale Germania, invece di scusarsi Blair dovrebbe portare la sua denuncia in sede politica e storica, fare i numi e spiegare le circostanze che “incastrano” servizi inglesi americani spagnoli tedeschi eccetera. E dirci come mai gli stessi servizi che inventarono la truffa non hanno trovato il modo di far trovare ai conquistatori dell’Iraq una dozzina di garage con armi chimiche e batteriologiche: che truffa da coglioni sarebbe stata senza prevedere le logiche conseguenze della ricerca in bianco dei famosi weapons of mass destruction!
Quanto alla ritirata strategica, che ha poi lasciato a Petraeus con il suo “surge” tardivo il compito di tamponare le cose impedendo agli insorti postsaddamisti di vincere, ma ha definitivamente dichiarato l’abbandono del fronte mediorientale con le dimissioni di Rumsfeld e la neutralizzazione politica di Cheney, vorrei essere chiaro anche con Adriano Sofri (nota sul Foglio di ieri). Napoleone lavorava sopra tutto per sé stesso e per la sua sete di gloria personale, e in quanto campione della temperie dell’Ottantanove dei droits de l’Homme e del 1792-93 giacobino e terrorista esportò monarchie e dinastie famigliari, amiche solo in certi casi dei diritti umani e di riforme centralizzatrici e modernizzanti, realizzando comunque un disegno nazional-imperiale franco-francese. La strategia delineata dai neoconservatori, da Bush e dal suo team di cinici ma efficaci machiavelliani era altra cosa, in continuità con la storia wilsoniana e rooseveltiana della democrazia americana: l’impegno della città sulla collina a diradare le tenebre, si tratti dei totalitarismi nazi-fascisti del Novecento o del jihadismo dell’islam nel XXI secolo. Questa storia che la democrazia e la libertà non si esportano con le baionette, e che dunque la guerra a Saddam fu una coglionata sanguinaria, è un insulto indecente all’intelligenza e all’esperienza della generazione che ha visto liberati dalle baionette angloamericane i nostri padri, le nostre madri e noi stessi in tutta l’Europa occidentale (per non parlare della pressione politica, militare e tecnologica che ha contribuito, insieme alla crociata di san Giovanni Paolo II, a liberare l’Europa centrale e orientale dal tallone di ferro del Patto di Varsavia e dalla dittatura del partito unico). Lasciamo a un realista intelligente ma schizzinoso come Sergio Romano, e all’arco trasversale rosso-nero degli odiatori di Bush e della sua guerra, il diritto di sciupare con degnazione la memoria politica degli avvenimenti, ma cerchiamo di non contribuire di nostro.
[**Video_box_2**]Le scuse per la nascita dello Stato Islamico califfale, cautamente denominato Daesh per ingannare il popolo bue e le vacche sacre d’élite, sono il secondo atto di “demenza scusante” di Blair. E’ vero che le conseguenze di una impresa orrenda e sanguinaria come una guerra, la cui unica ma gloriosa giustificazione è notoriamente una vittoria durevole e solida, che in genere si chiama pace, non sono tutte prevedibili, e non tutte furono previste. Le scuse per la errata pianificazione del nation-building sono comprensibili, anzi dovute. Ma ignorare sul piano storico e anche banalmente cronologico i fatti, duri come la pietra dura, è un altro atto di corrività verso il mainstream, il pensiero corrente. I fatti si conoscono: Bush ripiega strategicamente a metà del secondo mandato, correva il 2006, nel 2008 viene eletto Obama su un programma di ritiro delle truppe (eseguito in Iraq e parzialmente rimesso in discussione in Afghanistan), di mano tesa all’islam, di caccia al terrorismo e a bin Laden nella forma della “polizia internazionale”, di guida from behind, di colpi e danni collaterali sottaciuti inferti dai benedetti aerei senza pilota, e piano piano si iniziano le trattative segrete con l’Iran, si monta il mito risibile della primavera araba, si partecipa alla drôle de guerre in Libia, si lascia la crisi siriana al suo destino di sangue e morte (quella sì una guerra senza speranze di vittoria per nessuno, un puro carnaio che non eccita le anime belle del pacifismo): lo Stato Islamico si costruisce sul ritiro obamiano delle truppe e sulla resistenza di Assad tollerata nonostante l’uso di armi non convenzionali, mentre centinaia di migliaia di siriani muoiono e milioni di siriani fuggono tra gli accoglienti complimenti dell’occidente che non immagina nemmeno, nello stato in cui si trova e con la piana di Ninive e Palmira teatri di eccidio a sfondo religioso, la possibilità di altra via contro il Califfo minaccioso che non sia la fuga. Ecco. La fuga è ormai la nostra cifra, la nostra bandiera. E dovremmo scusarci, dice Blair, perché quando c’erano gli scarponi d’occidente sul campo minato del medio oriente si gettavano le basi, ma quali basi?, per la nascita del Califfo a Raqqa. Va bene che il circuito mediatico è capace di creare miti devastanti per generazioni di umani, e tra questi la maledizione della guerra contro Saddam, ma farsene vittima a forza di scuse pelose non è da Blair. Si merita Jeremy Corbyn.
L'editoriale dell'elefantino