Putin il diplomatico
Roma. Accanto alla missione militare in Siria, il governo russo sta seguendo il binario parallelo della diplomazia con un’intensità tale da far pensare che i bombardamenti siano, al momento, soltanto la facciata e non la sostanza dell’intervento. Ieri i gruppi armati del Fsa (i ribelli dell’Esercito siriano libero) hanno smentito di avere visitato Mosca per parlare di negoziati, ma la fonte della notizia lunedì è stata il viceministro degli Esteri con delega al medio oriente, Mikhail Bogdanov, considerato uno dei più abili e credibili nel suo settore. Giovedì 8 ottobre Bogdanov aveva incontrato a Parigi e con discrezione l’ex generale Manaf Tlass, amico d’infanzia di Assad poi fuggito da Damasco grazie a un’operazione dell’intelligence francese nel 2012, e Burhan Ghalioun, ex presidente del Consiglio nazionale siriano, un organo che in teoria dovrebbe rappresentare l’opposizione moderata ma è fiacco.
Il russo si muove in una zona d’ombra, è difficile capire chi conta davvero e quanto potere ha sul campo – ma è chiaro che sta esplorando il campo anti Assad proprio nelle settimane in cui il sostegno pubblico al presidente siriano da parte della Russia è al suo picco. Se questo è il contesto, allora l’indisponenza sfoggiata dal suo diretto superiore, il ministro Sergei Lavrov, sembra una postura politica: da settimane Lavrov chiede dove sono mai, se esistono, i ribelli moderati del Fsa. Qualcuno era a Mosca.
Che sia un periodo di trattative frenetiche si capisce anche soltanto dalla lista ufficiale delle telefonate del presidente Vladimir Putin, pubblicata sul sito del Cremlino. In meno di una settimana, tra gli altri, ha chiamato due volte il re saudita, Salman bin Abdulaziz, che ieri a sua volta è stato chiamato dal presidente americano Barack Obama.
Putin e re Salman sono i grandi sponsor esterni dei due fronti militari in Siria. Il primo sta dando copertura aerea ravvicinata alle offensive di terra dell’esercito di Assad (con la partecipazione generosa di “consiglieri militari” iraniani), l’altro sta inviando ai gruppi siriani quei micidiali missili controcarro Tow di fabbricazione americana che distruggono i carri armati del governo e stanno bloccando le offensive di terra. Forse anche perché tutte le quattro operazioni di attacco nelle regioni di Homs, Hama, Latakia e Aleppo sono finite in uno stallo indecifrabile, il piano B – la soluzione politica – diventa ancora più urgente. Su internet circolano rumors (deliberati?) a proposito dell’arrivo imminente di missili terra-aria ad alcuni gruppi ribelli selezionati, per dare loro la possibilità di abbattere elicotteri e aerei russi. Non c’è nulla di dimostrato per ora, ma anche queste voci fanno parte della guerra di nervi. La Russia ieri ha annunciato la morte di un soldato in Siria, che si sarebbe suicidato per colpa di una crisi amorosa.
Assad è tornato da Mosca con lo strano annuncio di una nuova elezione presidenziale, che in qualche modo dovrebbe sostituire l’elezione già tenuta l’8 giugno del 2014, poco più di un anno fa, contro due candidati di paglia. Il mandato di Assad è in teoria ancora lontano dalla scadenza e non si capisce cosa cambierebbe con il nuovo voto, a meno che non ci sia una qualche novità in serbo. Due giorni fa il presidente siriano ha ricevuto il ministro degli Esteri del piccolo sultanato dell’Oman, che in medio oriente gioca il ruolo del terreno neutrale dove gli acerrimi nemici si possono incontrare per negoziare. Quando nelle foto ufficiali compaiono i massar, i turbanti elegantissimi dei diplomatici di Muscat, è segno che qualcosa si sta muovendo. Il patto sul nucleare tra americani e iraniani nacque anni fa proprio da alcuni primi, cauti incontri in Oman, e da lì potrebbero passare ora anche le trattative più discrete sulla Siria.
[**Video_box_2**]Ieri per la prima volta è caduta un’altra barriera diplomatica e l’Iran è stato invitato a partecipare ai colloqui internazionali di Vienna sulla Siria, assieme a Russia, America, Arabia Saudita, Turchia e alcuni stati europei.
Che la guerra civile in Siria segua anche il ritmo dettato dagli sponsor esterni si vede dalla differenza fra il fronte nord – dove si combatte con estrema violenza – e il fronte a sud di Damasco, dove i ribelli sono come in pausa artificiale. Sabato scorso gli israeliani hanno montato una gigantesca operazione militare di caccia all’uomo su quel confine, senza provocare alcuna reazione. Gli aerei non bombardano, non si vedono missili anticarro stranieri. Il sud, per ora, resta relativamente tranquillo.