Così il soft power obamiano è diventato sinonimo di debolezza militare

Gabriele Carrer

Uno studio dell'Heritage Foundation rivela come il disimpegno americano rappresenta nei fatti un allontanamento dal messaggio reaganiano "la pace attraverso la forza".

Le forze armate americane sono sempre più deboli e impreparate ad affrontare l’attuale ordine mondiale. Ormai lontani dal mondo bipolare pre-1989 e dalle sfide per la supremazia come unica superpotenza mondiale, gli Stati Uniti “prediligono la guida attraverso gli elementi deboli del potere nazionale: diplomazia, incentivi economici e scambi culturali”. Tuttavia, secondo quanto emerge dal 2016 Index of U.S. Military Strength pubblicato dal think-tank conservatore Heritage Foundation, le politiche muscolari e gli approcci deboli “sono complementari e si rafforzano vicendevolmente”.

 

Come evidenzia nella prefazione il presidente della fondazione ed ex senatore della Carolina del sud Jim DeMint, nell'ultimo tumultuoso anno, in seguito all'arretramento della macchina a stelle e strisce, molte sfide sono sorte per difendere la sicurezza e gli interessi nazionali americani: da Cina e Russia che si contendono lo scettro di superpotenza attraverso conflitti, corsa agli armamenti e cyber-minacce, fino alla complessa situazione mediorientale con l'ascesa dello Stato islamico, alla questione siriana e al nuovo ruolo dell'Iran nell’area mediorientale.

 

L’Heritage Foundation analizza lo stato delle forze armate americane applicando l'approccio noto come “two-war requirement”, ossia la condizione per gli Stati Uniti per poter gestire parallelamente due grandi teatri di conflitto affinché nessuna potenza terza possa sfruttare le difficoltà americane durante una precedente guerra. Tra i conflitti post Seconda guerra mondiale presi come punto di partenza per l'analisi troviamo le guerre di Corea (1950-1953), quella del Vietnam (1965-1973), del Golfo (1990-1991) e in Iraq (2003-2011). Dal rapporto risulta uno scenario in cui le forze armate oggi sarebbero pronte in modo “marginale” a una situazione del genere. In particolare, si nota un arretramento dell'esercito, definito “debole” rispetto al precedente rilevamento del 2015 che lo definiva “marginale” (su una scala in cinque livelli: molto debole, debole, marginale, forte, molto forte). I problemi riscontrati dall’Us Army sono relativi al numero delle truppe e alla velocità di intervento. Marina e corpo dei marine, come le risorse per il nucleare, rimangono schedate come “marginali”, stesso livello a cui è stata retrocessa l'aviazione.

 

Ma i dati che più preoccupano l'Heritage Foundation sono quelli relativi alle truppe: il corpo dei marine, ad esempio, è oggi composto da 184.100 elementi, meno di quanti ce ne fossero durante la Guerra di Corea negli anni Cinquanta, mentre i mezzi della Marina sono meno di quanti a disposizione durante la Prima guerra mondiale.

 

L’analisi considera poi anche gli alleati degli Stati Uniti. Con riferimento al Vecchio continente, emerge una forte critica agli alleati atlantici. I dati sulla spesa per la Difesa degli stati membri della Nato, riferiti al 2014, evidenziano come più della metà di questi spendano per la Difesa meno di quanto il New York Police Department spenda per l’addestramento, con il Regno Unito secondo “contribuente”, forte degli ottimi rapporti e cooperazione con gli Stati Uniti. La Turchia è la più grande incognita: secondo esercito dell'Alleanza dopo quello americano e alleato durante la Seconda guerra mondiale e il conflitto coreano, è ritenuto un partner fondamentale per l'area nonostante alcune condotte anti occidentali del presidente Recep Tayyip Erdogan, tra cui il secco “no” nel 2003 al passaggio in terra turca delle forze americane dirette in Iraq. Ma la principale minaccia al Vecchio continente è rappresentata dalla Russia che non intende fermare le proprie pulsioni imperialistiche dopo il conflitto in Crimea, forte di un apparato di propaganda che garantisce pieno sostegno della popolazione al presidente Putin, oltre a riscuotere grande successo altrove.

 

In medio oriente, teatro instabile e principale luogo di impiego delle forze armate americane, oltre che fucina per eccellenza del terrorismo, il rapporto indica come prioritaria la stabilità dell'area e la sicurezza per gli Stati Uniti, condizioni senza le quali non può essere aperta alcuna porta di cooperazione. Sono in quest’area le principali minacce agli interessi vitali americani: il terrorismo islamista e l'Iran, ritenuti potenzialmente ancora più pericolosi se messi in condizione di estendere la loro influenza, come avvenuto con Teheran grazie al patto sul nucleare iraniano firmato a Ginevra poco più di tre mesi fa.

 

E’ positivo il giudizio sulla presenza americana in Asia, con la recente decisione del presidente Obama di prolungare la permanenza in Afghanistan e il rafforzamento dei legami con Giappone e Corea del sud. Tuttavia il rapporto sottolinea l'importanza delle questioni intra-continentali, storiche e territoriali, non risolte che devono spingere l'America, così come l'Europa, a non contare pienamente sul supporto degli stati asiatici. Tra le minacce dell'area, oltre al terrorismo afghano e a quello pakistano, ci sono la Cina, etichettata come “aggressiva”, con le sue azioni militari nel mar Cinese meridionale, e l'“ostile” Corea del Nord.

 

[**Video_box_2**]Il fiorire di nuove instabilità è frutto, si legge nel rapporto, della percezione di debolezza che l'America trasmette in controtendenza rispetto agli anni passati in cui la sua “forza e risolutezza sono stati deterrenti per attori negativi audaci e dittatori tiranni”. “La pace attraverso la forza” è il messaggio del presidente Reagan nel Discorso alla nazione sulla difesa e la sicurezza nazionale del marzo 1983. L’Heritage Foundation lo recupera oggi, in una critica neanche troppo velata alla dottrina Obama orientata al disimpegno e all'implementazione della sola arma diplomatica.

Di più su questi argomenti: