In Siria è quagmire, tutti all'Imperial di Vienna a negoziare
Roma. Chissà se i capi del Jaysh al Fath, il gruppo armato che include anche al Qaida, immaginavano che avrebbero impresso un’accelerata così vistosa alla diplomazia internazionale, paralizzata da quattro anni sulla guerra civile in Siria. In primavera il gruppo – che si dice abbia la sponsorizzazione non provata di Qatar e Turchia – ha conquistato una parte del nord-ovest siriano e ha provocato l’intervento militare urgente di Iran e Russia, che sono arrivati in soccorso del governo del presidente Bashar el Assad. Oggi l’intervento russo e iraniano compie un mese e ieri la televisione americana Fox news ha lanciato uno scoop che sottolinea la collaborazione nata all’interno del nuovo asse: da dieci giorni gli aerei russi che arrivano all’aeroporto militare di Latakia trasportano, con due voli quotidiani, il materiale bellico iraniano che sarà utilizzato in Siria dai soldati di Teheran – che invece arrivano sempre a Latakia sui voli civili della linea Mahan Air.
Questa situazione ha portato ieri e oggi a colloqui internazionali molto allargati – c’è anche l’Italia – all’hotel Imperial di Vienna. “L’opportunità più promettente di una soluzione politica della crisi”, li ha definiti il segretario di stato americano, John Kerry, che guiderà la maggior parte dei “follow on”, gli incontri minori e più succosi a margine del meeting ufficiale. Tra gli interlocutori più importanti, oltre a Russia e Stati Uniti, ci sono anche la Turchia, l’Iran – invitato per la prima volta – e l’Arabia Saudita. L’analisi anticipata fatta da Reuters è tinta di pessimismo: “L’incontro di Vienna sarà un successo, modesto, se i partecipanti non si alzeranno dal tavolo a metà della sessione”.
Il Washington Post scrive che Russia e America si sono accordati in via preventiva per accantonare di lato la questione che di solito uccide ogni negoziato sulla Siria, quindi il fato di Bashar el Assad. La rivista americana Bloomberg Businessweek ha invece un’analisi differente: “Gli americani lavorano fidandosi del fatto che i russi hanno già scoperto quello che il presidente Obama aveva predetto: che lo sforzo per puntellare il presidente siriano Bashar el Assad stanno finendo in un ‘quagmire’ (in gergo militare, un pantano), e questo apre le possibilità diplomatiche, perché la Russia ora ha a che fare con le conseguenze inattese che sono arrivate con l’aver preso le parti di un regime debole”.
Ieri il New York Times ha pubblicato una ricca infografica su quanto territorio è passato di mano in questo mese di bombardamenti russi (circa mille): lo Stato islamico ha guadagnato territorio, e i gruppi dell’opposizione più lo Stato islamico hanno guadagnato assieme più territorio di quanto è riuscito a fare l’esercito siriano assieme ai “consiglieri militari” mandati dall’Iran (iraniani e russi assieme, dice il generale americano Joesph Dunford, danno ad Assad “un vantaggio”). L’esito non è quello immaginato un mese fa, forse anche perché la guerra di Putin allo Stato islamico è per ora immaginaria: secondo un’analisi di Reuters, circa il 90 per cento delle missioni di combattimento russe colpisce fuori dal territorio dello Stato islamico. Forse c’è anche un effetto interferenza che rallenta gli air strike americani, perché da quando i piloti americani condividono lo stesso spazio aereo i loro bombardamenti sono scesi circa del trenta per cento, secondo i dati ufficiali che il Pentagono pubblica ogni giorno.
[**Video_box_2**]Il Wall Street Journal ieri ha dedicato un articolo intero alla partecipazione scettica dei sauditi a Vienna. I sauditi stanno bilanciando l’intervento russo con una loro contro-operazione: da quando i russi sono in Siria, l’uso di missili controcarro Tow da parte dei gruppi ribelli è aumentato dell’850 per cento, secondo i dati raccolti dal ricercatore Charles Lister.