La crisi catalana e Rajoy, unico possibile commander in chief
Roma. La sfida indipendentista del Parlamento della Catalogna non sarà argomento di campagna elettorale in Spagna, ma sarà l’unico argomento di cui gli elettori vorranno sentir parlare. I quattro principali partiti che corrono alle elezioni del 20 dicembre si sono accordati con una specie di patto tra gentiluomini per evitare di usare la questione catalana come arma elettorale durante la campagna per il voto legislativo. Serve unità, dopo che questa settimana la maggioranza dei membri del Parlamento locale catalano, formata da Junts pel Sí del governatore uscente Artur Mas e dal partito veterocomunista Cup, ha presentato una risoluzione per iniziare il processo di creazione di “uno stato catalano indipendente sotto forma di Repubblica”. La mossa ha colto di sorpresa la politica spagnola, che non si aspettava l’esplosione della questione indipendentista prima delle elezioni, ma le forze costituzionali hanno subito iniziato a muoversi, e a guidare le danze è stato il premier del Partito popolare Mariano Rajoy.
Accusato di aver gestito in maniera troppo dura la questione catalana negli anni del suo governo, Rajoy ha prima convocato il candidato del Partito socialista Pedro Sánchez per una riunione politica di emergenza – consolidando l’impressione che il sistema politico di riferimento in Spagna è ancora il bipolarismo – e poi, dopo una serie di colloqui telefonici, ieri ha convocato Albert Rivera del partito centrista emergente Ciudadanos. Ieri Rajoy ha incontrato anche il leader di Podemos Pablo Iglesias, dopo averlo ignorato con una mossa plateale per diversi giorni e aver dato così l’impressione che gli antisistema (che con tipica impostazione marxista considerano secondarie le questioni legate al nazionalismo e invocano il diritto di scelta e un referendum sulla Catalogna) non sono un partner credibile nemmeno in stato di relativa emergenza. Durante l’incontro, Iglesias si è rifiutato di fare fronte comune insieme agli altri partiti per l’unità nazionale. Il premier inoltre accoglierà nei prossimi giorni la galassia dei raggruppamenti della sinistra, in una serie di consultazioni che, nonostante l’accordo tra i partiti, danno un messaggio elettorale implicito eppure molto forte: la Spagna ha un commander in chief, e questo è Mariano Rajoy.
Non è un caso che i baroni del Partito socialista abbiano già mostrato disagio davanti alla disponibilità al dialogo di Pedro Sánchez: a forza di appiattirsi sugli appelli all’unità nazionale proposti da Rajoy, il premier apparirà come un gigante, e se la crisi catalana dovesse aumentare fino a diventare uno dei temi di maggiore preoccupazione per gli elettori – come molti commentatori ritengono – il leader che saprà meglio controbattere all’indipendentismo avrà un vantaggio netto alle elezioni. Gli ultimi sondaggi, pubblicati ieri dal giornale Confidencial e realizzati dall’istituto Dym, danno ai popolari un vantaggio notevole sul secondo partito (27 per cento, contro il 20,3 di Ciudadanos), e certificano ancora la crisi di Podemos, che sarà ancora indebolito dalla gestione della crisi catalana.
[**Video_box_2**]Il Parlamento locale di Barcellona voterà la settimana prossima sulla mozione indipendentista, e il governo ha diverse armi legali nel suo arsenale per evitare una secessione unilaterale. L’esecutivo, come scrive il País, può impugnare la mozione davanti al Tribunale costituzionale, consapevole però che gli indipendentisti hanno già detto di non riconoscere come valide le iniziative delle istituzioni di Madrid. Il Tribunale costituzionale può anche sospendere Artur Mas e tutte le cariche che non rispettino le sue sentenze, grazie a una riforma fatta approvare per l’occasione da Rajoy appena un mese fa. L’articolo 155 della Costituzione, inoltre, dà al governo pieni poteri nel caso in cui una regione autonoma non rispetti il patto federalista.