Come prima, più di prima
Tra Siria e curdi, ecco i contraccolpi militari della vittoria di Erdogan
Roma. Congratulazioni dal gruppo palestinese Hamas, congratulazioni dal partito tunisino e musulmano Ennahda, congratulazioni da gruppi armati siriani (non jihadisti). La vittoria elettorale in Turchia del partito Giustizia e Sviluppo (Akp) fa tirare un sospiro di sollievo collettivo ai movimenti sunniti in tutta la regione, perché potranno contare ancora sul presidente Recep Tayyip Erdogan, che considerano un alleato. E, per reazione opposta, è una brutta notizia per una lunga lista di nemici che detestano il presidente turco, a cominciare dalla minoranza curda per finire con il presidente siriano Bashar el Assad, con cui un tempo pure c’era un’amicizia personale ormai cancellata dalla guerra.
Come hanno capito la Borsa di Ankara e la lira turca, entrambe in rialzo vistoso, la permanenza di Erdogan al potere vuol dire che la linea politica della Turchia resterà quella di prima, testarda e prevedibile. Questo è soprattutto vero per la situazione in Siria, dove i turchi fanno parte di un programma militare assieme ai sauditi e agli americani per aiutare le fazioni non jihadiste contro quell’agglomerato militare formato dal governo siriano, dalle milizie sciite straniere, dai soldati iraniani e dall’aviazione russa. I turchi fanno passare dal confine le armi anticarro che stanno bloccando le quattro offensive di terra lanciate da Damasco in altrettante aree lontane dallo Stato islamico (che intanto avanza, a sud di Aleppo e a sud di Homs). Se il voto del sette giugno ha punito il partito di governo con il peggior risultato dal 2002 e ha fatto pensare alla possibilità di un’inversione di rotta della Turchia sulla questione siriana – inclusa l’ospitalità data ai rifugiati, che crea problemi – ora questa elezione bis mette un punto fermo: come prima, più di prima.
Un messaggio congiunto di congratulazioni all’Akp è stato firmato da dodici gruppi armati siriani, tra i quali anche la cosiddetta divisione Sultan bin Murad, che è catalogata come Fsa (quindi erede dell’Esercito libero siriano) ed è considerata vicina agli interessi della Turchia. Il governo di Erdogan pensava di affidare loro la sorveglianza della cosiddetta “safe zone”, una striscia di terra di un centinaio di chilometri in territorio siriano e vicino al confine, dove spostare i profughi siriani in collaborazione con il governo americano. Del progetto si è parlato in molte occasioni, ma non è mai diventato realtà. In questi giorni dalla zona di Aleppo arrivano video che mostrano la divisione Sultan bin Murad mentre combatte con i missili anticarro arrivati dagli sponsor stranieri contro le milizie sciite straniere che fanno la guerra al fianco di Assad. Tra i miliziani ci sono anche le Guardie della rivoluzione iraniane, riconoscibili perché parlano in farsi e perché indossano giubbotti antiproiettile (che è un pezzo d’equipaggimento raro nella guerra siriana). Insomma: guerriglieri siriani appoggiati in modo smaccato dalla Turchia e da altri alleati esterni in guerra contro truppe miste iraniane e locali. Questo il quadro in cui Erdogan si sente restituito dall’elettorato il mandato pieno a decidere.
[**Video_box_2**]La vittoria di Erdogan ha un’altra conseguenza militare: può fare da accelerante nella quasi guerra civile che un po’ deflagra e un po’ si ferma nel sud del paese, tra esercito e curdi. Questa strana elezione bis punisce il principale partito curdo Hdp, che ha perso voti rispetto a giugno, rende la violenza più attraente (anche quella del Pkk) e già scatena manifestazioni dure. Un’altra cosa continuerà: il clima di repressione contro giornalisti e media turchi.