A Bucarest il premier si dimette per le proteste contro autoritarismo e corruzione
Il primo ministro rumeno Victor Ponta ha annunciato questa mattina le sue dimissioni, dopo che 20 mila persone erano scese per le strade di Bucarest martedì chiedendo al governo di assumersi la responsabilità per la strage alla discoteca di venerdì scorso. Un incendio esploso durante un concerto in un locale del centro della capitale ha ucciso 32 persone e altre 180 sono rimaste ferite. Le autorità, accusano i residenti e i parenti delle vittime, non hanno compiuto nessun controllo nel locale dove le uscite di sicurezza erano troppo poche. Il concerto, dicono, non poteva avere luogo. "Ho l'obbligo di constatare la legittima rabbia esistente all'interno della società e di assumermi le mie responsabilità. Spero che le dimissioni mie e del governo servano a riportare tranquillità nella popolazione", ha affermato Ponta.
Socialdemocratico, avvocato di 48 anni e primo ministro dal 2012, Ponta è stato definito dai suoi detrattori un personaggio "arrogante", "bugiardo" e "incompetente"; alcuni media vicini all'opposizione associavano il suo nome a quello degli altri due Victor, l'ungherese Orban e l'ucraino Yanukovich, per i suoi metodi di governo autoritari. In questi tre anni da primo ministro, Ponta ha resistito a svariati processi che lo vedevano imputato di evasione fiscale, riciclaggio di denaro, false fatturazioni e perfino di plagio per la sua tesi di dottorato. In mezzo, anche alcune voci, fatte circolare da uno dei sui storici rivali, il conservatore ed ex presidente della Repubblica Traian Basescu, su una presunta adesione di Ponta ai servizi segreti rumeni del Sei. Un discredito grave per un uomo politico di un paese che ha risentito del retaggio post-sovietico ancora più degli altri paesi dell'Europa orientale e dove l'isterismo contro i metodi della Securitate è ancora oggi viva nella memoria dei rumeni.
Ponta aveva resistito a tutte le accuse ed era rimasto al suo posto fino ad oggi. Ma la politica rumena "non vive di ideologia, di sinistra o di destra", diceva al New York Times Sorin Ionita, un analista politico intervistato dal quotidiano americano lo scorso anno. "Tutte le battaglie politiche qui sono incentrate piuttosto sulla lotta alla corruzione, sullo stato di diritto". Ponta era considerato l'ultimo baluardo della sinistra nell'Europa post-sovietica dopo che Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca avevano intrapreso una svolta conservatrice. Ponta paga il prezzo di essere diventato il premier più odiato nella storia della Romania post Ceausescu. Come il vicino Orban, il governo socialdemocratico rumeno si è prodigato in questi tre anni per mantenere sotto il controllo stretto del partito, il Psd, enti pubblici e reti televisive. Nel dicembre del 2013, in quello che è stato definito dai media nazionali il "martedì nero", il governo aveva tentato di far passare una legge che prevedeva una super immunità per i parlamentari. Ponta aveva cercato anche il sostegno della chiesa ortodossa per ottenere consensi nelle zone rurali del paese. Il premier aveva tentato di inserire, senza successo, il fattore dell'appartenenza religiosa nella campagna elettorale per le elezioni per la presidenza della Repubblica del 2014, poi perse contro il conservatore (protestante) Klaus Iohannis. Con il suo autoritarismo e la politica intollerante anche nei confronti delle minoranze etniche, Ponta ha screditato agli occhi dei suoi elettori l'identità precisa che il Psd incarnava, fondata sul Fronte di salvezza nazionale, l'organizzazione politica che resse il governo rumeno nelle settimane successive alla rimozione di Ceausescu.
[**Video_box_2**]Nonostante i grandi annunci sulle riforme dell'Amministrazione, dei Trasporti, della Sanità, la Romania resta tra i paesi più poveri dell'Unione europea. E sulla lotta alla corruzione, Ponta non è riuscito a dare quella svolta annunciata alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2014. "Tutti i candidati fanno parte per la prima volta nella storia del paese di una nuova generazione, estranea alle vecchie élite del regime comunista", aveva detto prima di essere sconfitto dai conservatori. Ma a ben vedere, come Ionita diceva al Nyt, il fallimento della lotta alla corruzione era immaginabile: "Nuova era? Nuove generazioni? Parlano lingue straniere, sanno come comportarsi a Bruxelles, ma questo non li rende migliori. Sono stati creati dal vecchio sistema, secondo i vecchi criteri, soprattutto con l'idea di essere al di sopra della legge".