Perché Merkel evoca una guerra balcanica sulla crisi dei migranti
Bruxelles. Evocando nella pacifista Germania lo spettro della guerra in Europa, Angela Merkel si è lanciata in un’escalation politica per convincere i suoi riottosi alleati di governo a Berlino ad accettare la politica della porta aperta per i rifugiati siriani, con gli aggiustamenti necessari a fronteggiare l’emergenza. “Stiamo sperimentando qualcosa che non avevamo mai sperimentato prima: i conflitti che sembrano lontani, all’improvviso sono qui alle nostre porte”, ha detto la cancelliera in una riunione lunedì a Darmstadt. Chiudere le frontiere tedesche con l’Austria, come chiede il leader della Csu e presidente della Baviera, Horst Seehofer, “non risolverà il problema”. Anzi, rischia di portare a un “conflitto militare” nei Balcani, ha avvertito Merkel. Ma alzando l’asticella dell’allarmismo, la cancelliera non sta solo tentando di districarsi da una crisi politica interna che, secondo alcuni analisti, mette in discussione la sua permanenza alla cancelleria. Molto più delle disavventure della zona euro, l’ondata di profughi in marcia sulla rotta dei Balcani ha riacceso la fiamma del nazionalismo nelle classi dirigenti e tra i cittadini degli stati membri, mettendo in pericolo la stessa costruzione comunitaria. A cominciare dai paesi dei Balcani dove, malgrado l’ingresso di alcuni nell’Ue e la prospettiva di adesione per gli altri, i conflitti dell’inizio e della fine del secolo scorso non sono stati ancora superati.
“Questa crisi umanitaria sta portando a un rapido deterioramento nelle relazioni tra i paesi nella regione (dei Balcani), con politici che con entusiasmo canalizzano animosità a lungo sopite e si avvantaggiano elettoralmente con duri scambi di accuse con i vicini”, spiegano in un paper Vessela Tcherneva e Fredrik Wesslau del think tank European Council on Foreign Relations. “Un afflusso maggiore potrebbe essere estremamente destabilizzante e distruttivo per questi paesi”. Secondo i due analisti dell’Ecfr, “la retorica dell’odio che è riemersa come risultato della crisi dimostra che le tendenze nazionaliste sono ben presenti”. L’Ungheria ha inaugurato la strategia dei muri ai confini con la Serbia e con la Croazia, trovando potenziali emuli in Austria e Slovenia. I migranti caricati sui treni e spediti rapidamente oltre frontiera sono percepiti da alcuni paesi come armi umane utilizzate dalle capitali con cui un tempo si era in guerra. In un mini vertice organizzato il 25 ottobre dal presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, il premier croato, Zoran Milanoviç, è quasi venuto alle mani con lo sloveno, Miro Cerar. In questo contesto, Merkel vuole evitare di chiudere la valvola di sfogo che è la Germania. Altrimenti, centinaia di migliaia di migranti rimarrebbero intrappolati nei Balcani, alimentando ulteriormente le tensioni interne alla regione.
[**Video_box_2**]Guerra con le pallottole, o guerra usando le ondate di migranti in transito, il risultato rischia di essere lo stesso per l’Ue. La costruzione di muri è il preludio della fine di Schengen e della libera circolazione. Ogni prospettiva di cooperazione nella crisi dei rifugiati – in particolare con un meccanismo automatico di ridistribuzione dei richiedenti asilo – verrebbe meno. Una “Brexit” favorita dall’ondata di migranti potrebbe essere seguita da altre “Eu-exit”. I vecchi stati membri non sono immuni. “I paesi che oggi dicono di non essere colpiti dal fenomeno dei migranti, potrebbero esserlo domani”, ha detto ieri Merkel davanti agli industriali tedeschi. Paradossalmente, per lei è più facile mettere fine alla fronda dentro ai cristiano-democratici tedeschi. La cancelliera è riemersa da un incontro di 10 ore con Seehofer nel fine settimana con un “position paper” comune Cdu-Csu, che preconizza la creazione di “zone di transito” ai confini tedeschi, ma conferma la linea dell’accoglienza senza alcun limite agli ingressi. Anche se i socialdemocratici dicono di essere contrari alle “zone di transito”, la defenestrazione di Merkel non sembra più all’ordine del giorno.