Il connubio islam moderato e crescita è stato sostituito da un modello conservatore
L’esperienza recente dimostra che quello di Erdogan difficilmente può essere un ruolo di stabilizzazione sia per questioni internazionali sia per questioni interne. Nei suoi tentativi di plasmare la politica della regione, come per esempio durante le primavere arabe del 2011, il regime di Erdogan ha preso decisioni molto discutibili che alla fine non hanno pagato. In politica interna, inoltre, il discorso del presidente si muove tra teorie del complotto, nemici interni e megalomania. Durante la campagna elettorale ha fatto più volte riferimento al fatto che la missione dell’Akp è quella di celebrare tre grandi anniversari: il 2023, centenario della fondazione della Repubblica turca, il 2053, 600° anniversario della presa di Costantinopoli, e il 2071, millenario della conquista dell’Anatolia da parte dei turchi. Per questo è difficile considerare la Turchia di Erdogan un attore politico che agisce secondo logiche razionali. La complicità del governo nei confronti dello Stato islamico negli anni passati, inoltre, è piuttosto inquietante. Nei confronti dell’Unione europea, il presidente turco sta usando a suo vantaggio la crisi dei migranti. Erdogan è in grado di controllare il flusso dei rifugiati siriani, come dimostra il fatto che questi hanno iniziato a riversarsi in massa sulle coste europee dopo che per molti anni erano stati trattenuti in Turchia. In questo modo Ankara può incidere sulla politica europea, ed Erdogan potrebbe avere buon gioco a sfruttare le preoccupazioni dei governi dell’Ue. All’interno del paese, il connubio tra islam moderato e crescita economica è stato sostituito da un atteggiamento conservatore che sta portando gradualmente all’islamizzazione del paese, anche se con modalità diverse da quanto sarebbe potuto accadere con altri partiti islamisti. Oggi il “modello turco” si incarna nello slogan della “nuova Turchia”, cioè in un progetto megalomane di restaurazione imperiale e nel desiderio di rimettere la Turchia al centro della politica mondiale. Per questo non convince chi ritiene che la vittoria dell’Akp di Erdogan alle elezioni della scorsa settimana possa essere un fattore di stabilizzazione: una volta ottenuto quello che voleva, si dice, il presidente riprenderà il dialogo con le opposizioni e il processo di democratizzazione. Ma Erdogan agisce secondo una logica di cospirazioni, e c’è la possibilità che nei prossimi mesi metta in atto una politica vendicativa che punta alla trasformazione dell’Akp in un partito-stato.
Michele Brignone è segretario scientifico della Fondazione Oasis
(testo raccolto dalla redazione)
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