Il prezzo che paga Erdogan
La vittoria di Erdogan non è priva di interrogativi. Il primo dubbio riguarda la volontà del presidente turco di ripristinare un “normale” stato delle cose e abbassare i toni del confronto con i curdi, agitati come spauracchio politico-elettorale per mobilitare il sentimento nazionalistico mai sopito, ma anche con la Russia. Sarebbe un gran bene, dal momento che il muscolarismo di cui Ankara ha dato prova in questi mesi ha talora fatto intravvedere scenari che non escludono il coinvolgimento della Nato al fianco della Turchia in un paradossale rivolgimento di interessi. Lo sa bene l’Italia, che è membro della Nato e sarebbe chiamata a soccorrere Erdogan contro quel Putin che a Roma è considerato un prezioso alleato su diversi dossier – anche se c’è molta pruderie ad ammetterlo apertamente. Il secondo dubbio riguarda lo stato dei rapporti tra Erdogan e lo “stato profondo” turco. Quest’ultimo è il complesso dell’apparato di sicurezza e giudiziario che ha a lungo animato uno scontro con Erdogan, energico inquilino nuovo arrivato nel condominio abitato per quasi un secolo dai laici kemalisti. Il presidente rimane un uomo di potere ma anche un pragmatico, e può darsi che nemici comuni – come il potentissimo e per molti versi misterioso movimento gulenista – siano una sfida in grado di far accantonare vecchi dissapori. Il terzo elemento degno di nota, che si ricollega ai rapporti con la componente laica delle istituzioni turche, riguarda i rapporti con il premier Davutoglu. Il tandem con questo accademico e ideologo neo ottomano non si è rivelato fortunato rispetto a quello con il vecchio partner, Gül. Troppo forte, forse, l’ardore ideologico di Davutoglu, che si è formato in Malesia e ha distillato nel suo testo più noto, “Strategic Depth”, un ambizioso piano di espansione turca. Questi tre interrogativi segnalano che Erdogan è vittorioso, ma anche che ha dovuto pagare un prezzo elevato per agguantare l’affermazione elettorale e che non tutte le azioni che ha dispiegato negli ultimi mesi sono necessariamente reversibili. Sarà possibile rimettere il dentifricio nel tubetto? Lo capiremo presto.
Gianni Castellaneta è ex ambasciatore negli Stati Uniti, ora presidente di Sace